Nel 1999 esce Tarzan, trentasettesimo classico Disney tratto da Tarzan delle scimmie, romanzo del 1912 di Edgar Rice Burroughs. Tre anni dopo, nel 2002 esce Spirit – Cavallo Selvaggio, film d’animazione per famiglie che in un anno si è meritato la nomination agli Oscar.
Entrambi i film hanno forgiato e colpito un’intera generazione, quella ‘di mezzo’ (tra modernità e post-modernità), fatta di bambini e bambine che non hanno potuto “ottenere” il film se non in cassetta o pagando il biglietto d’ingresso del cinema più vicino; gli stessi bambini e bambine, ormai giovani adulti che anche ora, quando entrambi i film sono inclusi negli abbonamenti Prime Video e Disney+, quindi facilmente accessibili, faticano a cliccare sul tasto play e riprodurli con serenità, completando la visione senza lacrime.

Da tanto mi chiedo perché e io stessa ho tentato svariate volte – soprattutto per quanto riguarda Spirit – di rivederlo. Ma niente. Si fa una fatica immensa. Qualcosa deve significare, qualcosa deve essere successo in noi quando quei due film sono usciti nelle sale, qualche messaggio subliminale – positivissimo in questo caso – deve essersi inflitrato e giunto dalla nostra mente al nostro cuore.
Ciascuna generazione ha il suo film rappresentativo, il suo cult personale: da Gioventù Bruciata, a Easy Rider, da Fight Club a Frozen, ciascuna storia ha qualcosa da dire e qualcosa per cui ringraziare l’animazione. In questo caso, la mia generazione deve qualcosa a Tarzan sì, ma soprattutto deve qualcosa a Spirit – anche se ancora non lo sa.

Quello che accomuna questi due film d’animazione è sicuramente la colonna sonora: forse il vero problema, il vero punto debole per la Gen-Z. Quella di Spirit porta la voce di Zucchero Fornaciari, mentre quella di Tarzan porta la voce di Phil Collins che per l’occasione canta in italiano con quell’accento britannico che è impossibile dimenticare abbinato alle melodie del film.
Spirit: l’Es della Gen-Z
Nel bel mezzo delle guerre Sioux, nel 1864 per la precisione, nasce Spirit, un capobranco mustang dorato coraggioso e ribelle: tutto un programma. Il rapporto tra nativi americani e statunitensi peggiora sempre di più e Spirit rappresenta in questo contesto un capro espiatorio: il Redentore dei popoli che, volontariamente o meno, si sacrifica simbolicamente per un conflitto che riguarda i suoi territori. Casa sua.
Spirit viene al mondo e lo fa con Sono qui, un manifesto iniziale per una generazione a cui è stato promesso un mondo di possibilità, un mondo nuovo, tecnologico, moderno ed emancipato, pieno di opportunità, ma soprattutto diverso, migliore di quello dei loro genitori, gli stessi che però hanno accumulato nel tempo una narrazione piuttosto deviata, molto più negativa di quanto effettivamente la strada verso il successo non sia stata.
Eccomi sono qui
zucchero, sono qui, spirit – cavallo selvaggio
venuto al mondo selvaggio e libero
Eccomi, forte e giovane
nel posto mio rinascerò.
[…]
Una nuova vita che attraversa la strada
terra nuova e sole
sono qui per me
La parabola della gioventù nel brano è quella tolemaica: è il Sole a girare attorno alla Terra, ed entrambi a loro volta girano attorno al giovane che nasce costellato, riempito, protetto dalla natura stessa. Ogni minuscolo angolo della Terra sembra essere lì per lui, ogni fiore può essere colto, ogni spazio riempito senza porsi il dubbio rispetto all’appartenenza, alla proprietà perché tutto è suo. Ironico che il mondo in cui la generazione di Spirit sta crescendo è un mondo che rifiuta, o meglio, un mondo-rifiuto: l’avanzo, ciò che è rimasto di una Terra sfruttata dalle generazioni precedenti.
Spirit racconta la scoperta della libertà come unica possibilità di vita: ecco la risposta per una generazione nascente, la prima che riconoscerà appunto nella libertà individuale – e non collettiva – e quindi nel piacere della felicità, la felicità stessa. È l’inizio della fine, è l’inizio di un contrasto generazionale e storico insanabile: Spirit contempla il ritorno dopo la partenza, contempla la seconda occasione sebbene non preveda la scesa a compromessi, per cui tornare significa tornare diversi, liberi, cambiati e senza possibilità di adattamento; al contrario, sarà il luogo della felicità ad essere trovato proprio in virtù di questa mancanza di compromesso.
Vedrai ti troverò
Ovunque tu sarai
Ovunque lo sai
Per te correròNon importa per quanto ti dovrò cercare
zucchero, sempre e per sempre, spirit – cavallo selvaggio
Come in un sogno ora vivo per te
E so bene cos’è, cos’è che vale per me
Sei l’unica terra, la sola per me
Come un fiume nel mare, corro da te
Grandi braccia per volare e avrò cura di te
La voce del vento sussurra al mio cuor
è qui che sempre e per sempre vivrò
Dopo generazioni animate dai compromessi, Spirit porta la speranza, sentimento che tutt’ora è l’unico ad animare dal profondo la ‘generazione della stanchezza’, quella ‘dalle passioni tristi’, la speranza che in realtà è un’aspettativa, che a sua volta si trasforma in ossessione, ovvero il desiderio di vedere nella propria terra, nella propria casa, il luogo della felicità: “vedrai ti troverò”, anche se tutti dicono che non ci sei io ti troverò, o meglio ti costruirò attorno a me ovunque io sarò.
Questo è un aspetto riscontrabile nella Gen-Z che fa di tutto per cambiare non solo se stessa, ma chi le sta attorno: i propri genitori in primis, talvolta gli amici, talvolta addirittura i nonni e gli zii. Il problema è sempre e solo la speranza, trasformata in aspettativa, ridotta in ossessione. Il problema è cercare l’acqua sempre nello stesso scarno e arido deserto.
Spirit: la consapevolezza del sale
I due brani più caratteristici e orecchiabili di Spirit sono sicuramente Tu non mi avrai così e Levati di dosso, proprio perché raccontano la ribellione nei suoi termini più naif e di conseguenza, la consapevolezza della solitudine nella lotta generazionale: “dimmi chi è che come me combatterà con lealtà”.
Il problema di Spirit sembra essere subito la sua curiosità, un po’ come per Tarzan: conoscere la bestia umana, a tutti i costi. Gli americani lo catturano ma Spirit oppone resistenza. Anche di fronte alla sete e al digiuno non molla. Spirit è un cavallo ma conosce la libertà e sa che è l’unica cosa per cui vale la pena schierarsi. Il lakota Piccolo Fiume però lo aiuta. Sono entrambi dalla stessa parte, alla fine. Piccolo Fiume lo capisce, Spirit rappresenta l’indomabile West: quegli stati che anche i politici di Washington sono ancora insicuri di riuscire a colonizzare per davvero e completamente. Quegli stati duri a morire.
Tu non mi avrai così è il manifesto di una generazione giovane abituata ad insinuazioni, giudizi e poca considerazione: l’idea è che invece imparino a fare sul serio, a non farsi sottovalutare. Rappresentano il cambiamento, l’investimento pensato fallimentare, il fiore che fiorisce dal sale come un canto e la forza sta proprio nella libertà e nella consapevolezza che “nessuno li avrà così”.
La Gen-Z, con la sua imprevedibilità, fa di questo slogan un baluardo fondamentale: nessuno li avrà così, ovvero come si pensano che siano. Già Syd Barrett alla fine degli anni Sessanta diceva qualcosa del tipo “penso sia piuttosto difficile parlare di me, ho una mente piuttosto irregolare e in ogni caso, per quanto tu ci possa provare, non sono niente di ciò che pensi che io sia”.
I punti della formula sono due: ‘avere qualcun altro’ in questa prospettiva, dalla propria parte, al momento non è possibile oltre che ingiusto, poiché ognuno è libero e proprietario di se stesso e basta; ‘così’ rappresenta invece la modalità univoca di visione della vita da parte delle generazioni precedenti, poco pronte alla rivoluzione e ad una ricostituzione di nuovi mandati.
Non giudicare, tu non devi insinuare,
zucchero, non mi avrai, spirit – cavallo selvaggio
con me non giocare
no che non mi arrendo e non mi arrenderò mai, no
Tu lo sai che un fiore può fiorire dal sale
come un canto che sale
sono libero e nessuno mi sconfiggerà, no
Tu non mi avrai così
Dove sono non lo so
perché va tutto storto non so
non è il mio posto questo qui
là fuori il mondo mi aspetta, sì
La consapevolezza del “sale”: il posto è sbagliato perché sono i presupposti a cui esso è legato ad essere sbagliati, ma questo non deve pregiudicare il successo di un progetto. La nuova generazione può certamente decidere se sguazzare in questa incomprensione generale oppure se navigarci fino a raggiungere un’altra costa, utilizzarla quindi come ponte, come collegamento tra isole più che come separazione e luogo di annegamento e annichilimento dell’io.
Tu credi che ho paura di te, sì, tu lo credi
zucchero, levati di dosso, spirit – cavallo selvaggio
e invece sto ridendo di te e non mi vedi
Questa è naturalmente una provocazione che i minuscoli spettatori di Spirit non possono che non inglobare, una provocazione che le generazioni ‘al comando’ considerano il peggio da sentirsi dire da qualcuno di più giovane che ancora “non ha iniziato a vivere”.
Spirit porta un nuovo mandato, quello della necessità della follia di Pirandello: l’unica possibilità per ottenere una giustificazione, ovvero la libertà di essere, sembra stare nella libertà di fare paura all’altro. La xenofobia ecco che diventa un’opportunità di liberazione, un’arma a doppio taglio, da girare al contrario – quindi dalla parte del manico – appena possibile. Il gap generazionale ecco che diventa un baluardo per la propria identità, per la propria liberazione e quindi la possibilità per costruire, paradossalmente, dei veri discorsi di appartenenza ‘a qualcos’altro’ di certamente diverso.
Spirit: il funerale per la felicità
Spirit però viene di nuovo catturato e caricato su un treno della Union Pacific diretto in Wyoming per trainare una locomotiva durante la costruzione della ferrovia First Transcontinental Railroad, che punta al territorio dello Utah. Spirit riesce però a causare la distruzione della ferrovia ed è di nuovo libero.
Prima che accada però Zucchero canta Suona il corno: il clima descritto è quello della disperazione che assale, il deserto arido che si diffonde, la consapevolezza sempre più lucida del fatto che si è nel posto sbagliato, che sono finite le opportunità: “non c’è più strada ormai che porti fino a te, il buio mi assale, mi porta via”.
Senza più ali
zucchero, suona il corno, spirit – cavallo selvaggio
senza la tua luce
come un cielo che stelle più non ha.
Ero il sogno di un soldato
ero libertà
e morirò per te.
Portami via o lasciami così
suona il corno dai
tanto fa lo stesso,
non c’è più strada ormai
che porti fino a te.
Il buio mi assale
mi porta via.
Il ricordo è quello di un sogno lontano che spesso viene abbandonato molto prima del dovuto, molto prima dell’adultità, molto prima dell’anzianità: sembra già che troppo tempo sia passato e che ormai non ci siano più speranze ma che soprattutto non ci sia più tempo per provare e sbagliare, perché il futuro si avvicina, le aspettative e le responsabilità chiamano.
Il brano evoca l’idea di suonare il corno di fronte ad un addio: è un corno per un rito funebre, nel buio totale, in una prigione senza stelle; ma in realtà non ci si è resi conto che quel suono, quello del corno, non è così vicino, non arriva dalla marcia funebre accanto al proprio corpo stanco, bensì da “oltre le montagne” e in realtà è sì un addio, ma non per sempre, ma solo per questa vita sbagliata.
Il passato smette di essere un ricordo e assale il corpo al posto del buio: torna la forza, torna la certezza della propria lotta abbandonata e lasciata inconclusa, torna la chiamata alle armi per la propria vita, per la propria felicità, per la propria libertà.
Ma da lontano
zucchero, suona il corno, spirit – cavallo selvaggio
oltre le montagne
una voce dice ricordati chi sei
sei un soldato che non sarà mai schiavo
non ti arrendere
ricordati chi sei.
sei un guerriero che combatte per la vita
per la libertà
Tarzan: diversità e Gen-Z
Tarzan è il figlio orfano di una coppia di britannici, nato negli anni Novanta dell’Ottocento, poco prima di un naufragio che ha obbligato la famiglia ad arrangiarsi con una casa costruita nella giungla africana dai pezzi della nave.
Tarzan viene cresciuto da Kala, femmina gorilla che ha perso il figlio a causa di Sabor, lo stesso leopardo che ha ucciso anche i genitori di Tarzan. Il capo del branco e compagno di Kala, Kerchak, teme l’idea di crescere un cucciolo di uomo bianco, convinto che prima o poi si comporterà da tale e che quindi prima o poi si ribellerà.
Tarzan quindi non sa né da dove viene e né che ne sarà di lui: è completamente perso, raggomitolato nella sua diversità che torna a galla ogni giorno, che si ripresenta in ogni momento quando si confronta con gli altri animali della giungla. Trattato da diverso, spesso anche escluso, non riesce a riconoscersi in nessuna specie. In questo senso, Tarzan porta con sé, come Spirit, il mandato della libertà senza radici, in questo caso però nella sua accezione drammatica.
Se vuoi è il primo brano della colonna sonora, e non a caso è un brano di apertura in tutti i sensi: apre il film e parla di accoglienza, del senso di famiglia e anche di perdono. Ognuno di noi “è un figlio” e lo sarà per sempre: normalmente, si dà per scontato che i figli siano lì proprio per imparare ed è proprio questo aspetto della figliolanza che va tenuto sempre a mente. Ognuno di noi è lì per imparare, anche da genitore, anche da nonno.
La Gen-Z ascolta questo brano la prima volta e sa che non ci sarà momento sbagliato o troppo in anticipo per perdonare i propri genitori e in generale, la propria famiglia.
Apri le tue braccia a chi ti cerca
Se vuoi ti troverà anche se non sai perché
È un figlio come teUna famiglia dove c’è sole, vento e umanità
è semplice, ma basteràE al momento che servirà
PHIL COLLINS, SE VUOI, TARZAN
lotta per la libertà
difendi te e chi non può, se semini amore
l’amore ti tornerà
Il brano riflette su cosa significhi essere davvero una famiglia: significa vedersi tutti come figli, e non come figli da una parte e genitori dall’alta, su gradini ad altezze differenti.
Ecco il nuovo mandato che porta la Gen-Z: tutti possono e devono imparare dall’altro, perché è questo che fonda il successo, è questo che fonda l’amore, non le gerarchie basate sul rispetto unidirezionale, “è semplice ma basterà” canta Phil Collins. L’importante è sapere che, alla fine, la ricerca è la propria, a fronte di una lezione costante, bisogna poi saper lottare da soli per la propria libertà, a costo della solitudine, a costo della scelta di non restare, come in Spirit. Il messaggio è enorme: “difendi te e chi non può, se semini amore l’amore ti tornerà”, il perdono aiuta a crescere, la vendetta invece non permette di prendere il volo mai.
Tarzan: l’accettazione incondizionata come sacro Graal
Tarzan diventa adulto e ha l’occasione di guadagnarsi la fiducia di Kerchak: Sabor si avvicina al branco e lo attacca, ma Tarzan ha costruito una lancia con cui riesce ad uccidere il felino.
Quello di Tarzan è un conflitto ontologico con il proprio nuovo padre: la guerra è quella dell’accettazione incondizionata anche a fronte della propria diversità. Il sacro graal della Gen-Z. Ironico il fatto che Tarzan viva nella giungla e il giovane comune viva nel mondo – una giungla non meno pericolosa di quella africana – e nonostante ciò, entrambi sembrano trovarsi davvero in pericolo, in difficoltà e in sofferenza solo dentro se stessi, a confronto con i propri padri.
In tuo figlio riassume nel ritornello l’esatto mandato che la Gen-Z, bene o male, sta cercando di portare attraverso ‘la consapevolezza del sale’, la lotta per la propria libertà: ognuno di noi è figlio di qualcuno che è già padre ma questo non deve essere un ostacolo, perché alla fine si è da soli “sulla montagna”, “in cima” non c’è nessun’altro e il viaggio “è di sola andata”, “da un ragazzo a un uomo”, nient’altro.
Cosa rimane? Rimane riconoscere che quando sarà il figlio a diventare padre, scoprirà in suo figlio un padre. A chi parla il brano? Ai figli o ai padri? Naturalmente questo è relativo: parla a chi ascolta, in entrambi i casi.
L’importante non è tanto ribaltare la gerarchia, non è tanto il disordine, non è tanto l’anarchia senza regole, ma l’equilibrio, la giustizia, l’uguaglianza: ogni figlio è padre per il proprio padre, e ogni padre è figlio per il proprio figlio. Da questo e da questo soltanto si deve partire.
Phil Collins canta “imparerai insegnando e imparando insegnerai”. Partendo dal primo postulato, “imparerai insegnando”: per insegnare bisogna comunicare e comunicare spesso significa venirsi in contro, avere volontà di conoscersi e rispettarsi vicendevolmente, talvolta scendendo a compromessi. Questo sembra finora l’unico compromesso che la Gen-Z ha intenzione di accettare. Ascoltare per essere ascoltati.
Il secondo postulato invece, “imparando insegnerai”: imparare significa aprirsi, mostrarsi vulnerabili, non temere i propri errori, non giustificarsi ma rendersi disponibili al miglioramento, al punto di vista opposto, anche al proprio nemico, se necessario.
Il brano si conclude con un messaggio di rivoluzione: “e tuo figlio, tuo figlio è padre già da un po’”. È evidente che Phil Collins sta parlando ai genitori ora, quelli in sala con i propri figli: la generazione ‘al comando’ è però troppo impegnata a regnare e non si è accorge che i suoi figli sono già padri, che ciò che stanno facendo, la libertà che si stanno costruendo non è che parte di un insegnamento biologicamente necessario per entrambi. Il vero potere non sta nel comando, ma nella comprensione. La vera altezza non sta in cima ma in basso. “Visto, siamo identici” dice Kala e Tarzan risponde “sarò la migliore scimmia che c’è”.
Tarzan: l’alba del generationalsplaining
Poco dopo però, arrivano nella giungla un gruppo di esploratori britannici: il professor Porter, sua figlia Jane e il cacciatore Clayton. Tarzan è colpito dal loro aspetto: si riconosce, si vede somigliante, dopo tanto tempo finalmente scopre la sua specie.
Jane vorrebbe avere Tarzan con sé all’accampamento per studiarlo: il prof. Porter lo definisce l'”anello mancante” tra uomo e scimmia, mentre Clayton vorrebbe usarlo per avvicinare e poi catturare i gorilla e rivenderli.
Con gli esploratori britannici Tarzan inizia a conoscere quello che ancora non sa essere il suo mondo, le sue radici: nasce un secondo conflitto, proprio ora che era diventato “la migliore scimmia che c’è”, perché gli inglesi hanno riconosciuto in lui qualcos’altro, un uomo, e ora vogliono farlo tornare tale. Sa di non doversi fidare degli umani, anche se suo simili, perché così gli ha insegnato Kerchak.
Nel mezzo di questa crisi, Phil Collins canta Al di fuori di me:
Se tutto ha un senso
tu puoi dirmi qual èPerché non si finisce mai
di apprendere, di crescere
Io sono immerso nel mio mondo
ma io so che fuori c’è dell’altroPerché non so come è il mondo
phil collins, al di fuori di me, tarzan
cosa succede al di fuori di me
voglio più di un sogno
appartenere al di fuori di me
Il giovane è impaziente, vuole imparare, perché sa che dimostrare di ‘sapere’ sembra essere l’unico modo per essere accettati, per essere coinvolti dagli adulti e rispettati.
“Se tutto ha un senso tu puoi dirmi qual è”: ma Jane nel film, come le vecchie generazioni, sa che non è vero, che niente ha davvero un senso. Jane capisce che gli inglesi non sono i buoni e giusti della storia, che Tarzan non è uno “scimmione”, non fa paura e soprattutto non ha cattive intenzioni. Jane stessa ha perso il senso delle cose, e dovrebbe insegnare a Tarzan come vivere? Cosa signfica vivere? Cosa significa essere un umano? Cosa significa essere un adulto?
Tarzan invece è consapevole, sa di essere “immerso” altrove, dentro di sé totalmente, ma ora vuole saperne di più perché ha capito “che fuori c’è dell’altro”. La Gen-Z ha imparato che il viaggio è sì di sola andata, ma non per forza in solitudine: la crescita non è qualcosa che riguarda solo i più piccoli, i giovani, ma tutti contemporaneamente fino alla fine, fino all’ultimo giorno di vita. Il loro è un grido di aiuto ma non disperato, non per forza stanco, non per forza triste, seppur tragico: crescete con noi, dicono, abbiate forza e voglia di cambiare, imparare, non lasciatevi morire perché lo potete sentire, vedere, toccare e ascoltare, respirate ancora!
Questa è la gioventù che vuole “appartenere al di fuori” di sé: è “più di un sogno” canta Phil Collins, è una necessità, è un diritto che non può essere negato. Tarzan insegna che anche l’uomo più indisciplinato, più selvaggio, più esterno alla vita, più immaturo, più piccolo ha il diritto di crescere in libertà ma accompagnato, nel senso di sostenuto, supportato nella crescita non da un padre-insegnante ma da un altro figlio-alunno, identico a lui.
Se è vero che il mondo ha un senso, se è vero che ciò che “succede al di fuori” del sé ha una via d’uscita, la cosa migliore sarebbe prenderla assieme. Questo è lo smascheramento del generationalsplaining, della certezza tossica dell’adulto che pensa di saperne di più, sempre e in ogni caso.
Non a caso, saranno il Prof. Porter e sua figlia Jane a decidere di scendere dalla nave e rimanere nella giungla con Tarzan e i gorilla: i colonizzatori, gli umani al comando, quelli adulti, sapienti e civilizzati hanno capito di essere nella stessa condizione dell’uomo selvaggio, dell’uomo gorilla. Entrambi erano vivevano, ma al di fuori di sé.
Troppo zucchero e nient’altro al di fuori di sé
Riascoltando tutti questi brani, ora mi ricordo quando correvo nei prati convinta che un’aquila mi seguisse, certa di essere e sentirmi come Spirit; ora mi ricordo quando, sulla sponda del divano di casa, cercavo di scivolare a piedi nudi rimanendo in equilibrio, convinta di trovarmi tra i tronchi e le liane della giungla, certa di essere e sentirmi come Tarzan.
Qualcosa deve essere successo. Qualcosa devono aver fatto scattare questi due film d’animazione, queste due colonne sonore, perché diversamente non si spiega. Lo dicono tutti, ognuno della propria, ed è giusto così: ma questa giovane generazione non è come le altre, porta dei mandati diversi e lo fa con veemenza, con violenza, con ossessione, con la costante e tragica aspettativa del riconoscimento e dell’amore incondizionato da parte dell’altro, a fronte della propria diversità.
Una guerra infinita che però forse, ha trovato il suo fuoco, in senso fisico, il suo centro, in senso geografico, i suoi padri, in senso simbolico. Riguardare questi due film è fortemente consigliato – sempre se si riesce ad arrivare fino alla fine senza crolli emotivi – ma soprattutto, è consigliato farli vedere ai nostri figli che chissà, magari porteranno altri mandati ancora e vedranno in Spirit e Tarzan solo il fantasma di una generazione ormai al comando, che ha zuccherato il proprio sale e ormai troppo sorda per ascoltare ciò che succede al di fuori di sé.
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