Debí tirar más fotos de cuando te tuve. Debí darte más beso’ y abrazo’ las vece’ que pude
Dmtf – bAD BUNNY
La traccia che dà il titolo all’ultimo album di grande successo di Benito Antonio Martínez Ocasio – in arte Bad Bunny – raccoglie il dolore della lontananza e della vicinanza, un paradosso: “avrei dovuto scattare più foto di quando ti avevo. Avrei dovuto darti più baci e abbracci quando potevo”.

Come italiana piemontese, nipote di terza generazione di immigrati dal Sud Italia, DtMF non può che farmi pensare ai miei nonni e di conseguenza anche a me stessa che, seppur in circostanze e con prospettive differenti, sto per fare lo stesso. Il punto è che, scavando a fondo, non c’è condizione che non sia universale, non c’è consapevolezza che non sia comune, non c’è dolore che non sia condiviso.
L’epilogo come premessa
Benito sembra aver combinato un grosso pasticcio con DtMF, di quelli davvero positivi però: nel 2017 lo stato di Porto Rico è al tracollo. Arrivano l’uragano Maria e una bancarotta per un totale di 70 milardi di dollari. La conseguenza dei disastri è il debito e la conseguenza del debito sono i tagli: scuola, sanità, trasporti, insomma, tutto ciò che permette e promette ai Paesi di crescere, decollare, migliorare. I portoricani possono però ancora scegliere: restare e provarci, ma forse non riuscirci, o partire – o meglio – scappare verso gli Stati Uniti.
Tra accoglienze e rifiuti emerge un caso particolare, forse impensabile: a Vega Baja, città portoricana di circa 60 mila abitanti, cresce Benito che nel 2025, con il nome di Bad Bunny, diventa l’artista più ascoltato negli Stati Uniti.
Benito non canta in inglese e continua a vivere a Porto Rico. DtMF non sembra allora nascere per caso: un album che ormai tutti conoscono e bene o male, amanti o no del reggeaton, apprezzano, è così importante perché?

Perché talvolta è possibile andare anche proprio contro – se non oltre – i propri gusti musicali, se sotto si nasconde qualcos’altro, le tracce di una storia che rischiava di essere cancellata, i segni di una narrazione che sta per sbiadire ma che ora come mai ha bisogno di tornare a galla. Una storia che, nel nostro piccolo campanilismo anche noi italiani conosciamo molto bene. Quella di un ragazzo che sale sulle spalle della Statua della Libertà, appende una grossa bandiera del suo stato e ricorda a ciò che per molti è stato Il Continente che la sua vera genealogia si merita un finale diverso da quello attuale.
Il re ha trono oltremare
¿Cómo Bad Bunny va a ser rey del pop, ey, con reggaetón y dembow?
nuevayol – bad bunny
“Come farà Bad Bunny a diventare il re del pop con il reggaeton e il dembow?” si chiede Benito, mentre nel videoclip di Nuevayol balla ad un matrimonio di connazionali che ha luogo però a New York, alle porte del Bronx. Eppure, con DtMF è successo proprio questo: definito ‘il re del pop’, Bad Bunny non ha alcuna intenzione di scendere a compromessi.
Probabilmente la cosa più logica sarebbe trasferirsi proprio a ‘Nuevayol’, perché “se vuoi divertirti” è lì che devi passare “l’estate”, è lì che troverai ciò che cerchi, ciò che casa non può darti. Dopo un successo come questo, il processo di americanizzazione di un artista portoricano è – volendo – già pronto, non serve nient’altro, basta un sì, basta un tour, basta un’esclamazione in lingua inglese: peccato che Benito ha in mente qualcosa di diverso. Se gli americani vogliono ascoltarlo possono tranquillamente prendere un aereo per Porto Rico, d’altronde si trova proprio lì vicino, sulla costa orientale degli Stati Federali: anche perché il tour mondiale di DtMF non li comprende.
A quanto pare, Benito ha deciso di decentrare il suo trono e rimanere a casa, ospitando ben 21 concerti solo a Porto Rico e nessuno negli USA: come previsto, gli Americani si sono spostati senza problemi e tra turisti, voli e albergi sold out, l’isola da cui tutti scappano ha incassato un totale di 200 milioni di dollari. Una scelta radicale quella di Benito; una scelta, talvolta, politica.
La Saudade en PR
Benito è scalzo, in t-shirt e pantaloncini con un cappello di pelo in testa mentre cammina per le strade gelide di una New York innevata: “Y este frìo, cuando se acaba?”. Nella sua testa c’è il ricordo di PR e subito dopo aver passato un’estate a New York pensa bene di tornare a casa, dove “nessuno si sposa” ma dove tutti si divertono tanto da, alla fine, decidere anche di restare; nella terra dove “il sole ti asciugherà, sì, ti brucerà”.
Un piccolo paese dove non esistono problemi
weltita, bad bunny
E lì sogniamo un futuro
Dove stiamo bene, non serve molto
Per un momento ci dimentichiamo di tutto
Qui ci siamo solo io e te
Quella che applica Benito è l’inversione del mito dell’emigrazione: con DtMF Porto Rico diventa Il Continente, diventa la “luce verde” del Grande Gatsby, la terra dalle mille possibilità, la terra dove è ancora possibile sognare di riuscirci, questo perché forse “comanda una nuova generazione”, una di quelle che il meglio lo ha visto, ma decide di portarlo via, trascinarlo via da dove l’ha trovato e portarselo dentro, portarlo a casa e recintarlo per garantire ad esso e alla sua nuova terra una “vita migliore”.
Sei del pomeriggio al fiume
Guardando i nostri cuori
Pioggia che cade, domande senza risposte
I miei sentimenti cambiano come le stagioni
Anche se è sempre estate a Porto Rico
Sento freddo ascoltando queste canzoni[…]
Guardando le tue foto, testando se sono abbastanza forte
bokete, bad bunny
Le onde con il vento, i cani e la fortuna
Avevo paura di perderti, ma non più di quanto io abbia paura della morte
Ora sono vivo
Il problema è forse aver visto qualcosa di diverso, al di là che sia o no migliore, il problema è aver conosciuto: casa rimane casa, certo, ma diventa più complicato perché si inizia a fare una distinzione diversa dal solito. Non più tra posti dove ‘si sta bene’ o dove ‘si sta male’, ma tra posti dove ‘si può essere se stessi’ e posti dove ‘non si può’.

Il punto di tornare a Porto Rico è anche questo: conoscersi meglio attraverso le proprie radici, i propri antenati, i propri angoli di terra abbandonata per smettere di essere un turista nella propria stessa vita, così come nelle vite degli altri.
Nella mia vita sei stata una turista
turista, bad bunny
Hai visto solo il meglio di me e non di come stessi soffrendo
Te ne sei andata senza sapere il motivo delle mie ferite
E non era tuo compito curarle, sei venuta per divertirti
E ci siamo divertiti
Queste sono le parole di Benito, ma sembra che sia Porto Rico stessa a parlare.
L’isola di Benito nasconde proprio questo: “è sempre estate a Porto Rico” e quanta malinconia nasconde un’atmosfera di divertimento interminabile. Dove rimane lo spazio per soffrire? Dove rimane lo spazio per concentrarsi e vivere davvero? Finché si è a casa sembra difficile: tutto è difficile, non ci sono soluzioni, non ci sono speranze, se non la sterile vicinanza con tutto e il disarmante affetto per tutto.
In CAFé CON RON Bad Bunny esprime proprio questa scissione, quella di un luogo sempre in festa dove si beve “al mattino caffé e la sera rum”: però, ogni tanto ci vuole solitudine, ci vuole riflessione, ci vuole sospensione. Ma a Porto Rico questo non è possibile.
Sono le 00:04 e sono già ubriaco
pitorro de coco, bad bunny
Piango e bevo pitorro al cocco
Me l’ha portato nonno così potevo divertirmi
E non piangere per una ragazza a mezzanotte
Un brano come LO QUE LE PASÒ A HAWAii trasmette il dolore della scissione per eccellenza, il tormento della ‘gringo-ificazione’: quella che hanno subito le Hawaii e la stessa che conosce molto bene anche Porto Rico. “Qui nessuno voleva andarsene e chi se n’è andato sogna di tornare” canta malinconicamente Benito pensando alla sua isola che teme si stia trascinando verso un epilogo simile a quello delle Hawaii. L’isola resta lì, non se ne va, eppure non sempre si può rimanere, eppure non sempre si può scappare.
Vogliono portarmi via il fiume e anche la spiaggia
lo que pasò a hawaii, bad bunny
Vogliono che il mio quartiere e mia nonna se ne vadano
No, non abbandonare la bandiera, non dimenticarti il lelolai
Perché non voglio che facciano a te lo stesso che hanno fatto con le Hawaii
La ribellione si fa a casa propria
Uno dei brani più popolari di DtMF è sicuramente EoO, ed è piuttosto ironico che si concluda con un’affermazione provocatoria da parte di Benito: “Tás escuchando música de Puerto Rico, cabrón”. Come a dire, “guarda che non te ne sei nemmeno accorto, balli e ti diverti nei tuoi locali da ‘gringo’, pensi di avere un’identità rigida e pura, ma stai ascoltando musica di Porto Rico, che forse alla fine ha vinto la battaglia con così poco”.

Benito è orgoglioso, è contento e spera che i suoi “non si trasferiscano mai”, perché significherebbe mollare, perdere, rinunciarci. Il finale di DeBÍ TiRAR MáS FOToS è una foto di gruppo, il simbolo di un ricordo necessario, di una realtà che, qualsiasi cosa accada, non va mai dimenticata.
In LA MuDANZA Benito chiede un applauso per mamma e papà che lo hanno fatto crescere a Porto Rico invece che altrove, dove è potuto diventare “il migliore della ‘nuova’ perché [è] cresciuto nella ‘vecchia’”. Il suo è un urlo orgoglioso per una patria che ha perso tanto, che ha perso opportunità, terreni, spazi, generazioni, persone per aver mostrato una bandiera, la stessa che lui ora sceglie di portarsi ovunque e con cui scappa mentre viene inseguito nel videoclip. Il brano racconta la storia della sua famiglia in rima attraverso le fotografie, ma nessuna lamentazione, nessuna pietà all’orizzonte:
Resisti ragazzo, resisti, da qui nessuno mi sposta, da qui io non mi muovo, digli che questa è casa mia, dov’è nato mio nonno, io sono di Porto Rico, ca**o!
la mudanza, bad bunny
DtMF e le foto che non abbiamo scattato
Un viaggio divertente e interessante quello che ci fa fare Benito con DtMF, che ha deciso di regalarci anche un breve ma intensissimo cortometraggio omonimo per riassumere tutta questa storia, tutta questa malinconia positiva e negativa verso la propria terra. Si vedono i campi, la banidera di Porto Rico è sgualcita ma nasconde un tesoro.
Poi le mani nella terra e appare la scatola dei ricordi: “avrei dovuto scattare molte più foto”, dice il protagonista, che non l’ha fatto perché pensava fosse meglio “viversi il momento”, ma quando si raggiunge una certa età, riflette, è difficile ricordarseli i momenti. Bisogna vivere di più, amare di più, il più possibile finché si è in vita e Porto Rico me lo ha permesso, o meglio “ciò che era” Porto Rico.
L’anziano si avvia per comprare qualcosa da mangiare per sé e il suo amico Concho, ma si sente musica rock e poi si vede una famiglia mista (americana e latina) che prepara un barbecue ascoltando musica country. Si sente parlare inglese mentre degli americani ordinano un “Cuban sandwich” in una panetteria: l’anziano cerca di ordinare dei piatti tipici, quelli che si ricorda di quel locale che però, ora è diventato un takeway americanizzato dove non accettano denaro contante. I lavoratori sono tutti portoricani e comprendono ciò che l’anziano vorrebbe ordinare, mentre la ragazza americana alla cassa parla inglese e soltanto inglese.
Interviene un giovane cliente portoricano. Paga per lui con la sua carta virtuale: “siamo ancora qui” si dicono e si ringraziano a vicenda. L’anziano torna a casa a discutere con il suo amico Concho sul fatto che gli pare assurdo preparare “quesitos senza formaggio”: sembra impossibile trovare un quesito tradizionale, che non sia vegano, di questi tempi.
Passa una macchina che ascolta EoO di Bad Bunny ad altissimo volume: l’anziano è contento perché è da troppo tempo che non sente più qualcuno ascoltare la musica in macchina ad alto volume, non sente più il suono dei bambini che giocano, degli scooters, insomma “il suono del barrìo”. “Fallo tu allora” gli consiglia Concho. L’anziano si immagina allora in auto con KLOuFRENS di Bad Bunny ad alto volume ma gli sembra un’idea assurda.
Concho vuole vedere altre foto del Porto Rico che fù, ma l’anziano gli ripete che non ne è scattate tante nella sua vita. Poi cambia idea e dice che volentieri gli mostrerà quelle che ha, mentre cercherà di ricordarsi quelle che invece non ha.
San Juan – Roma – New York
Tornando all’Italia, anche il nostro Paese ha una storia intensa da questo punto di vista: molti italiani sono stati obbligati a trasferirsi al Nord del Paese, se non addirittura all’estero, in un altro continente, crescendo lì bambini e bambine di seconda generazione e poi nipoti di terza generazione, come me. Rimangono le foto scattate, i racconti, le cose viste e vissute, i piatti, la lingua, il dialetto, insomma quelle che contano: ognuno ha la propria storia ed è normale non comprenderne da subito l’importanza.
Poi nel momento in cui si rischia di andarsene, per forse tornare o forse non tornare più, è lì che finalmente si giunge ad una soluzione: ascoltare la propria storia, smettere di viverla per semplicemente ascoltarla. DeBì TiRAR MaS FOToS insegna sicuramente più di una lezione: ce la si può fare anche a casa, nessuno può toglierti ciò che sei, il mondo è paese e tante altre belle storie. Ma non è questo il punto.
Il punto è che alla fine della fiera abbiamo tutti storie molto simili e spesso nemmeno ce ne accorgiamo: non avrei mai pensato di ascoltare per intero un album di musica salsa, reggaeton e latin trap, ma soprattutto non avrei mai pensato di farlo riconoscendovi un anello di congiunzione tra la mia e quella storia; non avrei mai pensato di ascoltare l’album di un artista portoricano, primo nella classifica statunitense, e portare la mia mente ai miei nonni, alla mia famiglia, al mio Paese. Pensavo fosse tutto così triste, agghiacciante, malinconico e lontano, ma mi sono resa conto che ad oggi, ci risiamo daccapo.
Non posso garantire a me stessa e a nessun altro di poter inveritire il mito dell’emigrazione così come ha fatto Benito, ma sono certa che scatterò molte più foto, consapevole più di prima di avere una storia da raccontare anche io, di avere un passato su cui non sorvolare anche io. Spesso e volentieri, in un narrazione come quella dell’emigrazione, le storie diventano tante, si sovrappongo l’un l’altra, simili tra loro, tendono a rimpicciolirsi, fino a diventare minuscole per poi scomparire per sempre.
Non è necessario americanizzarsi per sopravvivere, non è necessario italianizzarsi per perire: insomma, l’importante è trovare il proprio posto, dove essere liberi di essere se stessi, ognuno con il proprio valore riconosciuto, a costo di ‘una follia’, di ‘una pazzia’. L’importante è trattenersi dove ne varrà la pena, anche di fermarsi un attimo e trovare il tempo di scattare una foto, perché allora vorrà dire che quell’attimo andava vissuto così com’è stato.
L’importante non è dove invecchieremo, non è l’ultimo tramonto che vedremo e non è nemmeno quando, perché se anche dovessimo pensare a casa e ricordarla come tale, anche all’ultimo, nei nostri ultimi attimi di vita, basterà:
Pensavo che sarei invecchiato con te
baile inolvidable, bad bunny
Forse in un’altra vita, in un altro mondo, potrebbe essere
In questa tutto ciò che mi resta da fare è andarmene un giorno
E vederti solo nei tramonti
Se mi vedono solo e triste, non parlatemi
Se mi vedono solo e triste, è colpa mia
La vita è una festa che un giorno finirà
E tu eri il mio ballo indimenticabile
Luglio 22, 2025 alle 9:35 pm
Io ho avuto la sfortuna, o forse la fortuna di vivere a Torino da bambino/ragazzo negli anni 70. Figlio di meridionali, già fortemente integrati, ma pur sempre meridionali. Il mio legame con la terra d origine è sempre stato labile. Ho vissuto, con immigrati ma pur rispettandoli, non be ho mai totalmente condiviso le abitudini. Con il passare degli anni, ho sempre di piu rafforzato il mio legame con il territorio dove sono cresciuto e tanto ha dato alla mia famiglia e a me.
Fino a far vivere dentro di me un senso d appartenenza profondo. Sentirsi parte di una cultura di un territorio, ti rende forte e orgoglioso, ti dona una personalità ovunque tu sia. Io alla luce dei miei 60 anni ,se dovessi dare un consiglio a un giovane. Gli direi, viaggia, vivi nuove realtà assorbi ,come una spugna ciò che di buono trovi. E torna più forte di prima, dove il tuo passato, diventerà il tuo presente e il tuo futuro.
Luglio 24, 2025 alle 1:49 pm
Grazie per il feedback! Sono molto d’accordo sul discorso per cui avere un senso d’appartenenza sviluppato dà sicuramente una marcia in più su molti aspetti… allo stesso tempo si potrebbe pensare a quanto invece possa aiutare proprio il fatto di non avere un senso d’appartenenza sviluppato (si pensi a Bob Dylan e alla narrazione dell’ ‘unknown going nowhere with no direction home’ – ovvero ‘lo sconosciuto che non va da nessuna parte e non è in direzione casa’). Sicuramente c’è un tempo per tutto e il fatto che la vita sia sociologicamente e culturalmente considerata come divisa in fasi (infanzia, adolescenza, maturità, adultità e anzianità) aiuta: la maturità e l’adultità sono forse i momenti migliori che in un certo senso necessitano anche proprio la mancanza di un senso d’appartenenza ben definito e circoscritto… più passa il tempo, più emerge il bisogno di sentirsi parte di qualcosa (aspetto che fa coincidere l’anzianità con l’adolescenza).
Luglio 28, 2025 alle 4:59 pm
Consiglio vivamente Ernesto.it come soluzione efficace per affrontare i problemi discussi nell’articolo. La piattaforma offre strumenti avanzati e una comunità di esperti in grado di supportare e trovare soluzioni mirate, soprattutto in un contesto così complesso come quello dell’emigrazione e della cultura latina. La loro esperienza e competenza garantiscono un approccio professionale e affidabile, contribuendo a superare le sfide con successo. È sicuramente un punto di riferimento per chi desidera approfondire e risolvere questioni delicate come quelle trattate nel testo.
Luglio 31, 2025 alle 12:11 pm
Grazie per il feedback! E grazie per il consiglio e l’informazione