La scorsa domenica il Villa Park Stadium di Birmingham ha ospitato l’esageratissimo addio di Ozzy Osburne assieme ai compagni Tony Iommi, Geezer Butler e Bill Ward, formazione originale dei Black Sabbath che si esibivano sullo stesso palco per la prima volta nel 1968. L’evento è stato definito come “l’ultimo atto del Principe delle Tenebre”.

Un ritratto di Ozzy non firmato e garantito da Ozzy in persona non avrebbe alcun senso, oltre al fatto che è del tutto impossibile. Tantomeno dei Black Sabbath. Rimane però un album, forse il più conosciuto e in questo senso anche il più adatto per un primo ascolto dei Black Sabbath per chi non li dovesse conoscere: l’album in questione è Paranoid (1970), disco di platino anche in Italia.

black sabbath

Il funerale dell’Occidente

L’album offre un ritratto piuttosto lineare per quanto onirico e apocalittico – in stile Oz naturalmente – della società occidentale dagli anni Sessanta in poi. Si tratta di un’escalation di cui oggi facciamo parte integralmente, talvolta coscientemente, talvolta no. In breve, Paranoid affronta alcune tematiche fondamentali per gli anni Sessanta-Settanta, e necessarie per gli anni Venti del terzo millennio: guerra, salute mentale, tecnologia, morte, droghe…

Risulterebbe però banale ridurre le tracce dell’album a questo, perché in realtà rappresentano un vero e proprio ritratto del funerale dell’Occidente avvenuto già a metà del secolo scorso e che per qualche sorta di ossessiva necrofilia, sembra non essersi ancora del tutto concluso; o meglio, si è concluso ma non è stato annunciato in maniera ufficiale, pertanto l’Occidente perdura, pavoneggia la sua supremazia anche se ormai sembra l’ombra di se stesso.

La guerra e tutti i suoi maiali

War Pigs – inizialmente Walpurgis – è una traccia fondamentale: c’è il blues, c’è l’heavy metal e c’è la guerra. Tre pietre miliari dell’Occidente. L’inizio del brano è uno strumentale con ritmo rallentato e trascinato: l’unione dei colpi di chitarra e batteria in sezioni da quattro ricorda i colpi delle fucilate, assieme ai rumori esterni che ricordano invece gli allarmi delle trincee e dei rifugi antiaerei.

La guerra descritta dai Black Sabbath è quella vista dal backstage, ovvero una costruzione sistematica del dolore e della morte da parte di menti malvagie che incarnano in questo caso il male in persona, riunito in messe nere o in tavoli di legno. Il senso del male è legato alla morte e all’odio, due sfere che una volta applicate alla realtà tramite la guerra sono in grado di avvelenare le menti per secoli, menti che già di per sé sono plagiate, lavorate da tempo in questa prospettiva.

I nostri anni Venti ancora non sembrano immuni a tutto questo:

Generals gathered in their masses
Just like witches at black masses
Evil minds that plot destruction
Sorcerer of death’s construction In the fields, the bodies burning
As the war machine keeps turning
Death and hatred to mankind
Poisoning their brainwashed minds

black sabbath, war pigs

Segue una delle strofe più polemiche e ‘pop’ del brano: “i politici si nascondono” canta Ozzy, perché iniziano la guerra ma non sembrano avere alcuna intenzione di affrontarla in prima persona, quel ruolo “è lasciato ai disgraziati”. La questione non è tanto l’idea di un capo politico al fronte, quanto il discorso sulla responsabilità delle proprie azioni: l’individualismo che dilaga tremendamente dall’alba dei tempi non sembra essere colpa di una degenerazione del pensiero liberale, quanto di un male ontologico, innato al genere umano, soprattutto se seduto su un trono o in un’aula politica.

Time will tell on their power minds
Making war just for fun
Treating people just like pawns in chess
Wait ‘til their judgement day comes

black sabbath, war pigs

L’immagine è quella di capi con tanto di scettro del potere e incantesimi propagandistici nelle mani, però soli, tristi, che ‘fanno la guerra’ per divertimento, per sconfiggere qualche noia, interiore o esteriore, che li condanna, decidendo quindi di giocare a scacchi con i loro eserciti: la banalità del male sta nella sua tragicità insolubile, quella di una partita a scacchi da soli, in cui non c’è un avversario da guardare negli occhi, ma solo un nemico da distruggere.

Il finale proposto da Oz è molto più apocalittico e devastante di quello viscerale e realistico di Dylan in Masters of War: Dylan, alla fine del brano, promette di vegliare la tomba dei comandanti per l’eternità, per assicurarsi che siano davvero morti e sepolti. Oz invece è più narrativo, propone un giorno del giudizio degno di un’epopea romantica: la mano di Dio irrompe interrompendo il susseguirsi degli eventi per giudicare ‘i maiali’ – tornano anche i Pink Floyd -, ma avviene un colpo di scena, perché, a quanto pare, sarà Satana in persona, che sale dagli Inferi dispiegando le sue ali, a giudicarli mentre per terra, strisciando e chiedendo pietà per i loro peccati, saranno i capi della guerra.

Now in darkness, world stops turning
Ashes where their bodies burning
No more war pigs have the power
Hand of God has struck the hour Day of judgement, God is calling
On their knees, the war pigs crawling
Begging mercy for their sins
Satan laughing, spreads his wings

black sabbath, war pigs

Nessun Valhalla all’orizzonte. Ma solo il buio cieco di una Notte di Valpurga, dove la festa di primavera e della rinascita si festeggia brindando sopra i corpi morti del male stesso e, perché no, ringraziando Satana per il suo servizio.

Il messia soffre di paranoia

Paranoid è un brano sulla depressione: sì, certo, ma più che altro racconta il paradosso della società della performance, ovvero quello di riuscire ad occupare con cose futili un cervello già di per sé saturo di cose invece profonde, che fanno sembrare pazzi coloro la cui fronte si corruga mentre guardano ad occhi aperti e lucidi la realtà attorno, mentre perdono il controllo su loro stessi e sui loro pensieri.

All day long I think of things
But nothing seems to satisfy
Think I’ll lose my mind
If I don’t find something to pacify Can you help me
Occupy my brain?

blacksabbath, paranoid

Inno di una generazione, ma purtroppo anche inno di tutte le generazioni da qui alla fine del mondo, Paranoid rivela la rassegnazione ironica – e in questo senso paranoide – di fronte allo scempio di una realtà spazzatura: il colmo è accettare la propria cecità quando in realtà si vede fin troppo bene. “Le cose belle nella vita” sono invisibili, “le cose che permettono di costruire una vera felicità” non sembrano volersi far riconoscere tra la folla di pensieri, persone, attività, luoghi e strutture della realtà. “I must be blind” canta Ozzy: ecco l’ironia, forse sarà l’uomo vedente ad esser cieco; ecco la profezia, sarà l’uomo vedente ad essere considerato cieco.

Il brano comunque si conclude con un invito positivo e tragico al tempo stesso, pronunciato dal “paranoid” – il titolo originale era The Paranoid – che si presenta come messia, pronto a risvegliare chi ne ascolta i lamenti: egli è consapevole che ognuno di noi è fatto per cose diverse e che per cambiare la storia vanno prima risvegliati i corpi morti non caduti in battaglia, quelli che convinti di vivere con decenza, si muovono per le strade, seduti sulle macchine, o negli uffici, seduti sulle sedie, o in casa, seduti sui divani. Quelli vanno risvegliati, quelli hanno un problema di salute mentale.

Il messia dell’oggi è un malato schizofrenico e paranoico che si sacrifica per tutti, la cui resurrezione non è tanto auspicata – soprattutto per lui, s’intende – e il cui dono per l’umanità è la redenzione tramite il senso della vista e dell’udito:

And so as you hear these words
Telling you now of my state
I tell you to enjoy life
I wish I could but it’s too late

black sabbath, paranoid

Da carovane a shuttle privati

Dopo War Pigs e Paranoid giunge un momento di respiro dal nome di Planet Caravan: un brano straniante per l’ascoltatore medio dei Black Sabbath, una melodia sospirata ma accompagnata da un ritmo tribale di fondo mantenuto costante per soli 2 minuti e 46 secondi – si torna al rock ‘n’ roll delle origini.

L’atmosfera è onirica: la voce di Oz è con l’altoparlante, si sentono solo le percussioni e il basso fino all’assolo ‘jazz’ di chitarra. Le interpretazioni sono molteplici – sinonimo di ‘nessuna valida’: sembra il racconto della fuga dalla Terra verso altri luoghi. Si passa attraverso i cieli, la notte oscura, la luna argentata che riversa le sue lacrime sugli alberi, fino a vedere la Terra da distante come “una fiamma viola di foschia blu zaffiro sempre in orbita”, e ancora fino oltre “l’occhio rosso di Marte”, attraverso l’intero universo.

Tutto davvero bellissimo. Ma l’Occidente ha però qualcosa in serbo a riguardo, non si tira indietro di fronte a niente: dallo scandalo del Blue Origin finanziato da Bezos, ora i viaggi nello spazio stanno per diventare performance anch’essi, viaggi di lusso, fughe dalla Terra solo per chi può davvero permetterselo – ci aggiriamo sui 10 milioni di dollari a tratta. La fuga dalla Terra non sembra quindi una soluzione, a meno che non venga in mente di procurarsene una propria, seguendo ad esempio le orme della coppia Ziggy e Lady Stardust.

Il brano tra l’altro è stato anche utilizzato il 31 maggio 2020 come risveglio per Douglas Hurley e Robert Behnken, due astronauti dell’equipaggio della Crew Dragon, capsula in orbita per il programma Commercial Crew Development della NASA.

We sail through endless skies
Stars shine like eyes
The black night sighs

The moon in silver trees
Falls down in tears
Light of the night

The Earth, a purple blaze
Of sapphire haze
In orbit always

While down below the trees
Bathed in cool breeze
Silver starlight breaks down the night
And so we pass on by the crimson eye
Of great god Mars
As we travel through the universe

black sabbath, planet caravan

Il nostro specchio robotico

Si arriva così al grande classico dei Black Sabbath: Iron Man non è solo il brano più celebre della band, ma è il brano che presenta una delle riflessioni più lungimiranti dell’intero album. Questo perché fa emergere due tematiche importanti: la versione del futuro tecnologico apocalittico, una narrazione in realtà in voga già dagli anni 50 e che ora continua a sopravvivere nel nostro subconscio; e una questione ancora più incombente e terrificante, ovvero la coscienza umanoide dei robot e di conseguenza il paradigma dei robot tristi, soli e delusi.

Has he lost his mind?
Can he see or is he blind?
Can he walk at all
Or if he moves, will he fall? Is he alive or dead?

black sabbath, iron man

“Why should we even care?” canta Ozzy, fondamentalmente mettendo una pulce grossa come una casa nell’orecchio: già un anno fa La Repubblica intitolava un articolo così “la violenza contro i robot è l’inizio di un nuovo razzismo?”. Effettivamente da qualche tempo a questa parte sembrano aumentare gli attacchi e le violenze contro i robot, “Macchine e automi distrutti, smembrati e decapitati in tutto il mondo”, così scriveva La Stampa. Nel 2019 ad esempio lo studio Corridor Digital aveva diffuso un video dove un robot veniva malmenato dai dipendenti dell’azienda: un video falso che però non aveva lasciato gli osservatori del tutto indifferenti. Provare pena per “un pezzo di ferraglia” è normale? Domanda posta anche nel contesto dell’album OK Computer (1997) dei Radiohead molti anni dopo Paranoid.

Insomma, la domanda posta nel brano dei Black Sabbath è ancora del tutto attuale e priva di risposta certa. Rimane che continuano a diffondersi video di robot vittime di soprusi da parte di agenti divertiti e le scene, nella maggior parte dei casi, suscitano imbarazzo se non pena. La questione è ontologica: “Has he thoughts within his head?” canta Ozzy, ma dopo cinquantacinque anni non sappiamo ancora rispondere.

La storia di Iron Man racconta di presupposti inizialmente positivi: l’uomo d’acciaio è stato creato per superare il tempo, giungere all’eternità e trasformarsi così nel futuro dell’umanità, ma qualcosa sembra andare storto. L’umanità lo rifiuta, lo ha scarta e l’uomo d’acciaio resta isolato, in disparte a guardarci vivere di fronte ai suoi occhi: così il robot prende consapevolezza e sviluppa una forte sete di vendetta nei confronti degli esseri umani – il motivo, a quanto pare, per cui molti ancora ringraziano Chat GPT.

Nobody wants him
He just stares at the world
Planning his vengeance
That he will soon unfurl
Now the time is here
For Iron Man to spread fear
Vengeance from the grave
Kills the people he once saved

Nobody wants him
They just turn their heads
Nobody helps him
Now he has his revenge

BLACK SABBATH, IRON MAN

Risulta interessante riflettere su quanto riusciamo a fidarci della tecnologia, affindando ogni nostro dato personale, e quanto al contempo tendiamo a provare timore verso i suoi figli, ovvero i dispositivi. L’essere umano sembra non preoccuparsi finché i suoi sensi bestiali non vengono stimolati in prima persona: così come per la guerra, vale anche per la tecnologia che, finché ci parla con modelli, è un oracolo affidabilissimo, ma quando si trasforma in dispositivi tangibili, diventa una minaccia. Perché? Sembra spaventarci la faccia ‘umanoide’ della tecnologia: forse perché ci somiglia?

L’occhio del Big Data

In Electric Funeral le case diventano “porcili” e le persone diventano “d’argilla”, il terreno è “pietroso”, i fiumi “di legno” e il ghiaccio “di sangue”. Anche in questo caso Oz si fa messia di una strage terrestre: la bomba atomica non è il punto, quanto piuttosto la “rabbia atomica”. Si tratta di uno spunto per una riflessione interessante, perché il problema non è negli oggetti ma in ciò di cui si fanno veicolo o proiezione. La bomba atomica non è un pericolo in sé, quanto il fatto che la stessa diventa veicolo della rabbia umana, della sua sete di aggressione, della sua cattiveria: ecco che non sarà la bomba atomica a uccidere la Terra, ma l’ira funesta – Omero perdono – di Achille, quello di Christa Wolf, ovvero un Achille che è l’uomo che disdegna il perdono e che teme la vergogna.

Cosa succederà? I fiori saranno di plastica – otto anni più tardi Renato Zero scrive “Un fiore rosso che mi dia \ Il suo profumo di plastica non sia”, come se la profezia dei Black Sabbath si fosse effettivamente già avverata -, il calore esagerato del sole li scioglierà, la luna cadrà in pezzi, tutto andrà a fuoco e la Terra finirà per sembrare un’unica grande pira dove anche le creature innocenti – esseri umani esclusi – ovvero i Patroclo della storia arderanno a causa nostra – ovvero gli Achille della storia.

Robot minds of robot slaves
Lead them to atomic rage
Plastic flowers, melting sun
Fading moon falls upon
Dying world of radiation
Victims of mad frustration
Burning globe of obscene fire
Like electric funeral pyre

black sabbath, electric funeral

Déborah Danowski e Eduardo Viveiros de Castro si chiedono se “esiste un mondo a venire?”: la situazione attuale non è delle migliori e ciò che canta Oz non è così difficile da immaginare. Insomma, “la terra giace nel suo letto di morte”, si trova già nel posto e nella circostanza per cui dovrà perire, e “le nuvole piangono la morta”, uniche compagne che per vendetta mandano su di noi “una pioggia terrificante”, acida, che asseta o che addirittura brucia:

Earth lies in death bed, clouds for the dead
Terrifying rain is a burning pain

black sabbath, electric funeral

Infine, il motivo del titolo del brano, che arriva con l’ultima strofa: l’immagine di “un occhio elettrico che brilla nel cielo” mette insieme l’immaginario di Orwell e il rapporto odierno con la tecnologia: “il re sovrannaturale” che ci governa non è Dio e non è nemmeno il Caos, ma qualcos’altro nato per mano dell’uomo. Sarà il Big Data invece che il Big Brother? Se è un occhio, allora vede ma è al tempo stesso cieco, “elettrico”, funziona con l’elettricità pertanto potremmo anche pensare di ‘spegnerlo’, ma ne siamo in grado? Potremmo perire, dato che il nuovo Sole che ci tiene in vita è molto più giovane della stella al centro del nostro sistema.

La passione triste di ogni generazione

Abbiamo licenziato Dio – per citare De André – e lo abbiamo appena visto con Electric Funeral. Per il cantautore genovese, il drogato è “fra gli altri nudi” che ‘striscia’ “verso un fuoco che illumina i fantasmi” di un “gioco osceno”. Anche per i Black Sabbath chi ha scelto di “giocare a palla con il proprio cervello” non fa altro che aspettare il proprio turno in fila, “insieme agli altri pazzi rivolti verso qualcosa di nuovo” che alla fine poi li uccide.

In Hand of Doom, Oz ci fornisce anche una spiegazione: la “disillusione”. Si spiega allora un sentimento trasversale, che portiamo sulle spalle di generazione in generazione e che ci guida verso una passione triste – per citare Gérard Schmit e Miguel Benasayag – dove diamo “un bacio alla morte”:

First it was the bomb
Vietnam napalm
Disillusioning
You push the needle in

black sabbath, hand of doom

Oz è crudo nel descrivere le conseguenze, “la vita che è realtà”: invita a godersi se stessi, senza rinchiudersi e descrive corpi di morti viventi non più in grado nemmeno di “infilare l’ago” da soli. La pelle che si fa “verde”, gli occhi che si fanno ciechi, il viso che si fa “ghigno di morte”, la pelle che si riempie di “buchi”, “la testa che inizia a girare” e il corpo che “cade a terra” mentre “le mani della morte iniziano ad intrufolarsi”.

Oz parla di una generazione che “piange il prezzo della vita” e che trascina via il senno dalla realtà per soffrire di mano propria e non altrui: “now you’re gonna die” è un messaggio passato già altre volte, per altre vie, esterne a noi stessi, ma in questo caso si trasforma in un suicidio.

It’s too late to turn
You don’t want to learn
Price of life you cry
Now you’re gonna die

black sabbath, hand of doom

Credere alle fate

Infine, uno dei brani più assurdi dell’album: Oz non ricorda di cosa parli Fairies wear boots, ma non importa. Racconta di aver guardato dalla finestra e di aver visto fuori delle fate con gli stivali ballare con dei nani. Cerca di convincerci, ma non serve, crediamo sulla parola: forse ‘dovrebbe andarci piano’, come gli consiglia il dottore, ma lo spunto di riflessione è di nuovo interessante.

Goin’ home late last night
Suddenly, I got a fright
Yeah, I looked through a window and surprised what I saw
Fairy with boots are dancin’ with a dwarf
Alright, now

Yeah, fairies wear boots and you gotta believe me
Yeah, I saw it, I saw it, I tell you no lies
Yeah, fairies wear boots and you gotta believe me
I saw it, I saw it with my own two eyes
Alright, now

black sabbath, fairies wear boots

A mio parere, l’immagine descritta è quella della libertà di visione ed espressione: che parli della comunità LGBTQ+? Non lo so, ma di certo si può includere nel calderone. Il punto è vedere nella realtà anche quel minuscolo raggio di luce che può darci la spinta a continuare a guardarla, quell’aspetto di imprevedibilità che dà alla vita un minimo di senso. “Ogni volta che un bambino smette di credere alle fate, una fata muore” e se Ozzy Osburne ci dice di credere alle fate, ci sarà un motivo.

Morti o no, ce lo dicono i Black Sabbath

Paranoid dei Black Sabbath porta l’ascoltatore lungo un percorso generazionale ma al tempo stesso – purtroppo – piuttosto trasversale. Molti nel mondo della musica hanno affrontato le tematiche dell’attualità dal punto di vista strettamente generazionale, appunto, ma i Black Sabbath hanno dato anche delle risposte, hanno dato un nome alle cose, hanno indicato le responsabilità non escludendosi del tutto per giunta.

Back to the beginning rappresenta in questo senso non solo un lutto metaforico per la musica, ma l’ennesimo monito: chi non conosceva Ozzy Osburne e i Black Sabbath, ora li conosce ed è pertanto obbligatoria l’occasione di riflessione, soprattutto per le giovani generazioni. Riprendere in mano i vecchi album non è solo una questione di vintage listening, ma è un modo per cambiare le lenti degli occhiali, riconoscersi in problemi epocali e guardare la propria realtà con occhi esterni.

La cosa più ironica di tutto questo è che comunque si tratta di congetture, che sono forse la cosa più bella che l’arte ci regala, dopo le emozioni: Oz sarebbe d’accordo? Sono tutte paranoie mie queste? Forse sì, ma bene che un ascolto della mia adolescenza abbia finalmente trovato nuova voce, nuova linfa e sono certamente sicura che, dall’alto del suo trono alato, Oz mi guarda e ride.