Anche se in ritardo di quattro mesi, vedere Diva Futura (2025) di Giulia Louise Steigerwalt è sicuramente un’ottima scelta. Il film presenta sì ottimi dialoghi, un’ottima fotografia e una storia interessante – insomma, ottima regia -, ma non è questo il punto: Diva Futura non è lì per raccontare una storia, un episodio o una morale, non è lì per rispolverare figure archiviate e dar loro uno spazio narrativo; Diva Futura sembra essere lì per far riflettere lo spettatore, fargli cambiare idea, fargli notare un’altra prospettiva e disorientarlo con l’umanità di ciò che rappresenta.

Il punto del film non è la p*rnografia, né la sua genesi, il suo apice o il suo epilogo; il film sembra piuttosto ambire a rivoltare l’idea dello spettatore rispetto alla p*rnografia cinematografica nelle sue origini, senza che egli se ne accorga. Così è successo nel mio caso: ci si trova coinvolti in ideali, rivoluzioni, lotte, ambizioni, sogni e personalità mentre il p*rno fa solo da sfondo. Il film porta sullo schermo la nascita dell’iconicità ‘immorale’ nelle sue vesti più morali, delicate e tenere: una cosa, per lo spettatore medio, imprevista.
Ilona, Moana ed Eva: oltre alle gambe, c’è una personalità
Nel 1991 Jo Squillo e Sabrina Salerno cantavano Siamo Donne, e pochi anni prima, nel 1983, Diva Futura nasceva a Roma, fondata da Riccardo Schicchi e Ilona Staller: la prima agenzia italiana di casting e produzione p*rnografica.
Pietro Castellitto, nei panni di Schicchi, sembra cogliere fin da bambino la bellezza femminile nel cuore del suo potenziale iconografico e rappresentativo: dove gli uomini vedono sesso, lui vede libertà. Questa “visione” – termine ricorrente nel film – gli permette di riconoscere tra tante, da una sola fotografia, il talento di Ilona Staller. Iniziando con lei come personaggio televisivo, fotografico e radiofonico, dopo la censura, la sua “visione” volge al cinema e nasce il p*rno cinematografico.

Il film presenta prima Ilona Staller, poi Moana Pozzi e infine Éva Henger come capitoli separati, consecutivi di un progetto di rivoluzione in realtà molto preciso e unito: il mondo vede i corpi di Staller, Pozzi ed Henger, ma Schicchi vede altro e vuole che anche il mondo condivida con lui la “visione” su Ilona, Moana ed Éva. Tre personalità, innanzitutto: ragazze giovani che sì fanno il mestiere del p*rno, ma un p*rno che profuma di individualità, valorizzazione e libertà. Il progetto della “moralità p*rnografica di Schicchi” si scontra però con la democrazia cristiana, la stessa che censura la p*rnografia, avvinghiata con le unghie e con i denti al terreno, già sotto gli occhi di Schicchi ancora bambino.
Diva Futura, innanzitutto, non è un p*rno, va detto: non c’è niente di p*rno se non qualche scena giustamente rappresentata che, più che altro, s’intervalla qua e là tra le dinamiche umane ed emotive dei protagonisti, appunto Schicchi, Ilona, Moana, Éva e Debora Attanasio, la giornalista grazie alla quale questa pagina italiana ha un nome e uno spazio narrativo nel mondo. I tag Netflix definiscono il film “sensuale”, ma c’è ben poco di sensuale in una Ilona naif e inquieta, una Moana colta e tormentata, una Éva dolce e indecisa, e uno Schicchi tenero e stravagante che ama gli animali – anche i più stravaganti.
Tenerezza e p*rnografia
Schicchi vuole esserci per le ragazze, vuole farle brillare di luce propria, vuole renderle uniche, de-oggettificarle e de-sessualizzarle il più possibile, ai limiti della sovversione, ai limiti della rivoluzione. La sua concezione del p*rno è a tratti tenera, a tratti utopica e a tratti morale: Ilona, Moana ed Éva per Schicchi sono innanzitutto delle amiche, persone fidate, ragazze di cui occuparsi, su cui contare, da supportare e in cui credere.
Diva Futura non sessualizza le sue attrici, piuttosto le iconicizza: le fa sentire accompagnate in quella che è una lotta in cui nessuno può rimanere da solo, al tempo stesso lasciando loro lo spazio di esistere in quanto esseri viventi, pensanti e coscienti. Moana, ad esempio, menziona le molestie, i ricatti e gli abusi sessuali subiti nel mondo del cinema istituzionale – quello ‘morale’ -, pertanto appena giunge negli uffici di Diva Futura torna ‘pura’, riconoscendo che allora non è lei ad essere sbagliata, ma un sistema marcio che continua la sua putrefazione al di fuori delle mura costruite da Schicchi.

Lui è vicino alle scelte di vita delle ragazze, dà loro consigli, si confronta e cerca di proteggerle quanto può da ciò che il p*rno sta diventando fuori dalla bolla di Diva Futura. La scena più toccante del film si trova a metà: una delle attrici dell’agenzia di Schicchi viene assunta per un lavoro figlio di un’altra produzione cinematografica; il produttore va negli uffici di Diva Futura per mostrare a Schicchi e Debora le scene di ‘Marcellina’. Entrambi rimangono sconcertati e spaventati: “le urla sono vere”, un mostro è appena nato e si erge con prepotenza imprevedibile proprio davanti ai loro occhi.
“Io non do più le mie artiste per fare queste cose” chiarisce Schicchi. Ma “queste sono le cose che vanno adesso”, rispondono gli altri, ma a Schicchi non interessa: “questi vogliono rendere reali le turbe mentali dei maschi peggiori”, sono “schifezze”, “fantasie che creano cose reali”, anche perché “tutti guardano i p*rno”, e così facendo “entriamo nella testa delle persone e gli diciamo che ci si eccita massacrando le donne”. Ma i produttori incalzano, dicendo che ormai “vogliono i film dove vi*lentano le donne, dove le m*nano, dove le s*domizzano”, e poi “pure tu li fai i p*rno” gli viene detto. Schicchi però è certo, “la mia è arte” dice, “a me piace stupire, non mortificare”.
Schicchi blocca la pellicola e diplomaticamente esprime il suo dissenso verso quella che è una concezione del p*rno violenta, disumanizzante, oggettificante, sessualizzante e perversa. A suo parere, la donna non è uno spazio da deturpare per provare piacere, non è il proibito a dover diventare protagonista. Quelle che il produttore definisce “fantasie” reali degli uomini, Schicchi non le tollera se non come esempi di perversioni che, una volta messe in scena e mostrate al pubblico, rischiano di essere prese sul serio e diventare reali. Schicchi sa che il p*rno è recitazione ma è anche realtà: ciò che avviene sui set di Diva Futura è un atto di emancipazione che non può essere mal intepretato, in quanto atto totalmente moralizzante delle singole individualità femminili. Ciò che invece ha di fronte ai suoi occhi è lo spettacolo della depravazione maschiocentrica. E ne ha paura.

Si confronta con Debora. Il timore è la fetta di responsabilità: “forse pure noi abbiamo contribuito a quella roba là”. Diva Futura è altro da questo, ma se fosse comunque responsabile di questo? Se avesse spalancato la porta della rivoluzione che si trasforma in scellerata strage? Tramonta un sogno in quel momento. La realtà, così come Schicchi l’aveva lasciata torna a farsi viva in vesti ancora più tremende: a repressione segue libertà, a libertà segue emancipazione, ad emancipazione segue deresponsabilizzazione, a deresponsabilizzazione segue violenza. La parabola è tratta. Questo spinge Schicchi a fare ancora meglio, a continuare ad imporsi nel mondo del p*rno con la sua “visione”, prima estranea alla sola realtà esterna, ora estrana anche alla realtà interna.
Non solo p*rno e basta
La presa di consapevolezza di Schicchi, assieme alle dinamiche complesse e tormentate delle indivualità femminili di Diva Futura, portano alla fine di un’oasi pacifica. Diva Futura è una famiglia, si sostiene anche nel pericolo, nel disagio, ma il mondo va velocissimo. Ilona si sente sempre più tradita dal matrimonio di Schicchi con Éva, Moana è sempre più presa di mira dai media, sprofonda nella depressione e infine nella malattia, mentre Éva è indecisa sul suo futuro. Diva Futura non è solo p*rno e basta, e non lo è mai stata.
Lo spettatore è totalmente coinvolto. La p*rnografia è solo un contesto, uno sfondo, un microcosmo che riflette la realtà quotidiana, perché innanzitutto si impone come dimensione fatta di esseri umani, e non di oggetti.
Il timore di Schicchi è lo stesso che ancora oggi si muove di fronte a realtà come OnlyFans e i nuovi sex creatori giovanissimi, ‘improvvisati’, inesperti e ‘itineranti’. Il p*rno smette di essere p*rno e diventa spettacolo, performance, prestazione, forzatura. Chiaramente le opinioni a riguardo sono molte e diverse – come è giusto che sia -: ma il punto è che tutto sembra comunque lontano dal progetto di Diva Futura, dalle sue intenzioni, valori e moralità – perché di moralità si può parlare, eccome!

Oggi il ‘p*rno e basta’ si è completamente adeguato alle dinamiche consumistiche: è un prodotto nato per autoriprodursi con velocità estreme, senza contenuto, senza messaggio e per il solo scopo di produrne e desiderarne dell’altro. Smette così di essere spazio di libertà e individualità: sicuramente molte personalità sono conosciute anche per nome e cognome, ma per questo sono anche riconosciute? La domanda non è retorica, è davvero aperta.
Infine, Diva Futura va guardato, possibilmente anche con tutto il pregiudizio comune del caso: questo perché? Perché tanto il film smonta tutto. Cambia tutto. E se ne esce diversi, forse migliori – a mio parere -, vigili finalmente di un discernimento essenziale in quello che spesso è dipinto come un mondo piatto e omogeneo.
Debora racconta la caduta di questa rivoluzione: ancora tenero, “lui si illudeva”, dice di Schicchi, “diceva che non potevano togliergli la sua libertà e la sua fantasia”, la sua arte rimane infatti al sicuro nel suo bunker. Ma “la vera colpa era aver voluto rivoluzionare il costume alla luce del sole”.

Lascia un commento