Ci sono zone del Piemonte dove il silenzio non è mai davvero silenzioso. Luoghi in cui il bosco sembra trattenere il fiato e la nebbia danza tra le radici come se cercasse qualcosa che ha perduto.
Nel cuore del Canavese, tra le borgate arroccate e i sentieri che si arrampicano su pendii dimenticati, vive ancora un mondo di racconti sussurrati, di occhi spalancati attorno al fuoco, di nomi che non si devono pronunciare. È il Canavese delle ombre, popolato di spiriti antichi e masche misteriose, dove la linea tra realtà e leggenda è sottile come il filo del vento che soffia tra i castagni.

Le masche: le streghe dei paesi
Nel parlare delle vecchie del paese, si usava abbassare la voce. Non tutte erano masche, certo, ma qualcuna si. Nessuno lo diceva apertamente, ma tutti lo sapevano. Le masche erano donne solitarie, a volte guaritrici, a volte semplicemente sfortunate, eppure bastava uno sguardo sbagliato, una mucca che non dava più latte, e subito le voci si levavano.

Nel Canavese, come in molte altre zone alpine, la figura della masca è ambigua e potente. Si diceva che potessero trasformarsi in gatti neri, che volassero di notte verso il monte Calvo per radunarsi al sabba, che portassero il malocchio con una sola parola. Alcune famiglie avevano le masche ereditarie, donne in grado di trasmettere conoscenze occulte di madre in figlia. In certe borgate isolate, si sussurrava che bastasse guardare una masca negli occhi per tre secondi per non dormire più la notte.
Una storia racconta di Margherita di Carema, vissuta ai primi del Novecento. Rimasta vedova giovane, si diceva che parlasse con i lupi e che nessun prete avesse mai osato benedire la sua casa. I bambini passavano larghi quando camminavano davanti alla sua porta. Una sera d’inverno, qualcuno giurò di averla vista camminare sulla neve senza lasciare impronte. La mattina dopo, nella stalla dei vicini, le mucche giacevano a terra, silenziose. Nessuno fece domande. Nessuno bussò mai più a quella porta.

I fuochi fatui e le anime inquiete
Non c’è notte senza luci. Ma nel Canavese, ce ne sono alcune che è meglio non seguire. I vecchi parlano dei fuochi fatui che si accendevano nei campi incolti o vicino ai cimiteri. Piccole fiamme tremolanti, bluastre, sospese a mezz’aria. Si credeva che fossero anime in pena, spiriti di morti violenti o senza sepoltura, condannati a vagare finché qualcuno non pregava per loro. Nessuno osava avvicinarsi: bastava guardarli troppo a lungo per perdere l’orientamento e finire in un dirupo o in un canale ghiacciato.

C’erano anche storie di fantasmi striscianti, ombre che si muovevano ai margini delle stalle o nei cortili delle case abbandonate. Figure senza volto, accompagnate da odore di muschio e freddo umido. Una leggenda di Brosso racconta di un uomo che, tornando dalla taverna, seguì una figura luminosa per chiederle fuoco. Lo trovarono il mattino dopo, con lo sguardo fisso nel nulla e i capelli diventati bianchi.

I luoghi maledetti: cappelle, crocicchi, casotti e fontane
Ogni paese ha i suoi luoghi che “è meglio non nominare”.
Ci sono cappelle diroccate dove si dice che le croci si capovolgono di notte, fontane dove l’acqua gorgoglia anche in pieno inverno ma che nessuno osa bere, e incroci di sentieri dove si racconta che il tempo si ferma, e chi vi passa a mezzanotte rischia di non tornare più.
Uno di questi luoghi è la Fontana della Muta, tra Colleretto e Rueglio. Una sorgente d’acqua nascosta nel bosco, circondata da tre betulle contorte. La leggenda vuole che, se vi ci si reca la notte di San Lorenzo, si possa sentire la voce di una bambina che canta sommessamente. Si dice sia l’anima di una piccola contadina annegata lì un secolo fa. Alcuni hanno giurato di udire la sua nenia anche a chilometri di distanza, portata dal vento.

Voci ai margini: le veglie, le nonne e i racconti
C’erano tempi in cui il folklore non si leggeva, ma si ascoltava. Le veglie nelle stalle erano i salotti dell’inverno: uomini con il berretto calato e donne che filavano, bambini con gli occhi lucidi e le gambe penzolanti, tutti in attesa che qualcuno cominciasse a raccontare. Le nonne erano le vere biblioteche del paese.
Mia nonna diceva sempre: “Le storie non servono per dormire, servono per ricordare che siamo svegli”. E mentre la stufa a legna scoppiettava, ci raccontava della masca del Colle di Prarotto, che scambiava le culle nella notte, e dell’anima di un partigiano che ancora girava nei boschi perché nessuno aveva mai detto il suo nome ad alta voce.
Quelle sere non avevano bisogno di altro. Il buio era già abbastanza pieno così.

Oltre la soglia del visibile: ciò che resta di noi
Il Canavese delle ombre non è fatto solo di superstizioni: è una memoria profonda, sepolta nei racconti che resistono al tempo, tramandati da voce a voce. Sono leggende, certo, ma come ogni leggenda, contengono una verità più grande della cronaca: quella delle paure, dei desideri e delle spiegazioni che i nostri nonni cercavano tra gli alberi.
E allora ci si chiede: tutto ciò che non vediamo, è davvero assente, o semplicemente dimenticato? E se fosse solo il nostro sguardo a non essere più capace di vedere?
Riferimenti
Arona, D. Storie, leggende e misteri del Piemonte. 2015. Newton Compton.
Barbero, A. Storia del Piemonte. 2008. Laterza.
Centini, M. Terra di masche. Stregoneria e magia popolare in Piemonte. 2017. Yume.
Ferraris, G. Masche: le streghe piemontesi tra storia e leggenda. 1999. Priuli & Verlucca.
Nigra, C. Canti popolari del Piemonte. 1956. Einaudi.
Tarditi, M. Storie di masche. 2001. Frassinelli.
Tesio, G. Leggende e racconti del Piemonte antico. 2002. Il Punto.
Testimonianze orali raccolte in Valchiusella, Valle Sacra e zona del Mombarone (interviste condotte tra il 2008 e il 2022).
Archivio privato della Biblioteca di Castellamonte, sezione folklore.
Giugno 23, 2025 alle 4:51 pm
L occulto ,il misterioso, l aldilà, la morte stessa hanno sempre affascinato l uomo, per non dire rapito. Credenze e superstizioni ,sono sempre stata un arma per soggiogare o meglio dominare il popolo.
Con l illuminismo, e la convinzione che la ragione potesse spiegare tutto.ciò che ci circonda e accade. Non è bastato. La religione è l ignoranza, sono sempre riuscite a catturare,le masse. Soprattutto in realtà isolate e contadine. Ascoltare il racconto, in un fienile semibuio, era un po come adesso guardare un serie horror. La differenza, sostanziale e che adesso, riusciamo più a dividere la realtà dalla narrazione. Limitandoci a cercare emozioni proibite,pagando tour. Tipo Torino noir o Torino magica.
Io stesso che posso apparire, distaccato, nutro in me. Un timore reverenziale verso l occulto, pertanto lo evito…
Grazie per l articolo
Giugno 23, 2025 alle 5:10 pm
Grazie per il commento. Hai centrato un punto fondamentale: l’occulto continua ad affascinarci perché tocca corde profonde, al di là della ragione. Anche oggi, pur distinguendo realtà e finzione, cerchiamo quelle emozioni antiche — magari in forme più moderne, come i tour noir. E forse il timore stesso è parte di quel richiamo.