Queer – l’ultima opera di Luca Guadagnino – cattura l’attenzione dello spettatore ‘aperto’ a cogliere qualcosa di innovativo, futuristico quanto realistico – a tratti trascendentale. L’innovazione nella pellicola si trova in primis nelle scelte tecniche. Reparti come la scenografia, la fotografia e i costumi si manifestano con prepotenza agli occhi del pubblico.

Queer

Lo spettatore viene immerso in una realtà chiara ma allo stesso tempo estremamente ‘finta’: Città del Messico, anni Cinquanta. La scenografia, anche agli occhi di un non esperto, appare – volutamente, o forse no – come fatta di ‘carta pesta’. La presenza di elementi scenografici fortemente artificiali, tuttavia non sembra turbare lo sviluppo della trama del film: la storia e i personaggi esistono in quello spazio e in quel tempo come in qualunque altro spazio e in qualunque altro tempo.

Lo stesso vale per la fotografia e i costumi, tutto sembra insinuarsi nel racconto senza ricercare alcun naturalismo cinematografico.

Guadagnino racconta la storia di un uomo – William Lee, sulla cinquantina, interpretato magistralmente da Daniel Craig – che vive una cosiddetta ‘crisi di mezza età’. Un uomo apparentemente molto solo che fa eccessivamente uso di alcool e droghe. Ciononostante, pare poco strano in una città dove la maggior parte dei cittadini vive in condizioni simili se non uguali a quelle del protagonista. L’incontro con un giovane ragazzo, dagli occhi dolci e profondi e dal fisico forte e attraente – di nome Eugene Allerton, interpretato da Drew Starkey – colpisce inevitabilmente l’uomo che inizia ad osservarlo.

Queer

Queer colpisce perché racconta la solitudine di un uomo adulto e il suo semplice e puro desiderio di condividere qualcosa – la vita – con qualcuno. Se questo qualcuno ha la metà dei tuoi anni, ha un fisico statuario e ogni tanto ti manda qualche occhiatina, perché non provarci? Ed è proprio quello che farà il protagonista. Incerto sui gusti sessuali dell’altro, i primi passi saranno quelli di un felino che accortamente si avvicina alla sua preda, anche se non passerà molto tempo prima di tirare fuori gli artigli e lottare per ciò che (br)ama.

Il racconto è il percorso di conoscenza dei due che poco dopo, senza troppe specificazioni o chiarimenti da parte del giovane, si trovano a letto insieme. Due corpi che si uniscono, senza bisogno di sapere o di parlare: devono solo connettersi, scambiarsi e unirsi. L’essenza della sessualità maschile viene rappresentata nella sua virilità massima: un atto quasi meccanico, poco sensuale, quanto più violento e vorace. Il felino sta finendo di assaporare la sua preda e se ne gode ogni secondo, fino all’ultimo pezzetto, fino all’ultima goccia – puramente casuale è il riferimento a Bones and All, altro film di Guadagnino che qui calza a pennello.

Queer non racconta semplicemente una storia: colpisce duramente lo spettatore se ne sa cogliere alcuni significati e simbolismi meno scontati. Andando oltre è possibile cogliere sfumature coloratissime della sessualità maschile – indipendentemente dall’orientamento sessuale. Questo accade perché in Queer l’omosessualità non è un tema, al contrario di quanto ci si potrebbe aspettare.

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Ancora una volta Guadagnino – come in Chiamami Col Tuo Nome – non tratta la tematica dell’omosessualità come qualcosa da “risolvere”, per cui “combattere”. La grandezza di questo regista sta nel poter osservare e percepire la purezza dei suoi racconti, nei quali si cela voracità, violenza e realtà. Lo stesso realismo apparentemente ignorato dai reparti tecnici, è invece forte nella modalità di comunicazione e rappresentazione del regista.

Queer raggiunge il suo apice quando i due uomini – amici o amanti, la definizione non è data sapere in quanto non utile per la comprensione – si trovano in una foresta alla ricerca di un particolare tipo di droga che pare possa sviluppare un senso di telepatia profonda tra le persone che la assumono.

È il protagonista ad avere l’idea di intraprendere questo viaggio, con l’obiettivo di cercare una connessione permanente e profonda con il giovane. Trovata la droga, conosciuta la sciamana che attuerà il rito di ‘attivazione’, i due si ritroveranno in un momento estatico, sublime, trascendentale e a tratti disturbante – per lo spettatore. Tra sensazioni straordinarie, momenti di ribrezzo e di estasi, ciò che lo spettatore vede sono due corpi che, letteralmente, si uniscono.

Infine, per poter cogliere questo film appieno, occorre porsi di fronte allo schermo senza pregiudizi e con la volontà di farsi colpire direttamente allo stomaco – o al cuore – dalla cruda realtà comunicativa che lo caratterizza, la stessa che sta tracciando la carriera cinematografica di Guadagnino.

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