Ai tempi del Festival di Sanremo di quest’anno, quando Olly ha fatto la sua ultima esibizione di Balorda Nostalgia dopo la vittoria, si era già fatta notare l’ultima frase cantata sul palco dell’Ariston: “ed è stata tutta vita”. È una frase che colpisce per la fine di una gara e tra l’altro coincide con il titolo del secondo album in studio collaborativo dell’artista genovese che si chiama proprio TUTTA VITA (2025): probabilmente Balorda Nostalgia è la canzone più rappresentativa dell’album proprio per questo, anche se anche altri suoi brani avrebbero potuto tranquillamente contendersi l’opportunità di salire sul palco dell’Ariston e vincere allo stesso modo.

Olly

Il fatto che il brano finisca con questa frase è sicuramente un caso, ma fosse anche una strategia di marketing, ha aperto un varco di interesse sul lavoro completo, su tutte le altre tracce che stanno dietro a Balorda Nostalgia e che, alcune addirittura migliori, meritano di essere prese in considerazione.

Il brano è stato amato e criticato, qualcuno ha scritto che “ha vinto la canzone della dipendenza affettiva a discapito dell’accettazione e della fragilità maschile”, intendendo Volevo essere un duro di Lucio Corsi. Tuttavia, alla luce dell’album, in realtà ha semplicemente vinto il brano della consapevolezza proprio perché TUTTA VITA di Olly è evidentemente un percorso di risveglio di fronte all’esistenza di un giovane uomo.

Balordo è chi il balordo fa

Balorda Nostalgia racconta la consapevolezza per cui anche nei ricordi peggiori appartenenti alla propria storia, sta la storia stessa. Olly canta per un pubblico che ha poca storia dietro di sé e molta davanti a sé con la certezza che in realtà l’esperienza non equivale ad un numero di anni ma piuttosto alla capacità di osservazione e godimento del mondo circostante.

Olly canta la vita contemplativa in una società della prestazione, dove non c’è molto tempo per fermarsi sulle cose e dove la negatività va repressa per evitare di rimanere incastrati in qualcosa che non produce ma che danneggia soltanto.

Il brano porta la consapevolezza che la vita non è che una storia fatta di climax positivi e climax negativi, entrambi degni di essere raccontati e ricordati, che le cose iniziano e finiscono e che ciò che si pensava durasse alla fine potrebbe non essere mai.

Magari non sarà
Magari è già finita
Però ti voglio bene
Ed è stata tutta vita

olly, balorda nostalgia

Sicuramente non è nulla di nuovo, a livello di concetto, ma l’importanza dei brani sta spesso nel momento storico in cui si presentano, in cui trasmettono un determinato messaggio, e quello che l’album di Olly vuole raccontare non è ‘scomodo’ nel senso discografico del termine ma è comunque ‘utile’, cosa che molti prodotti musicali non riescono ad essere ultimamente.

È festa è di nuovo altra consapevolezza: il concetto è ancora molto simile, la festa è in realtà la vita stessa, in ogni suo “quando”, quindi anche un po’ “a vanvera”. Olly sembra godere per primo di questa consapevolezza nuova, per lui è magari il frutto di un percorso non breve e faticoso e si vede tutto.

L’aspetto interessante è che la sensazione principale è quella di avere il proprio migliore amico che ultimamente ha fatto dei passi avanti, che davvero è giunto a delle conclusioni importanti per la sua vita e che ha una voglia matta di raccontarle e condividerle, forse con quella innocente volontà di aiutare gli altri, di fare da esempio ma non morale, anzi, da esempio di fragilità e vittoria.

“Anche tu te ne accorgerai” dice nel brano, anche noi ci accorgeremo che non c’è nulla di male nell’essere “un cane che scodinzola”, nell’essere felici anche se non si ha niente di tutto ciò che la società ci invita a valutare come prioritario e necessario.

Il brano tra l’altro è anche interessante dal punto di vista del sound: la maggior parte delle tracce di TUTTA VITA sono profondamente orecchiabili e leggermente malinconiche, forse in questo aiuta anche il contesto genovese che fa da sfondo, anche con veri e propri suoni di confusione e mare. Il sound ricorda proprio quello di una celebrazione, ma una di quelle un po’ naif e improvvisate, nel senso buono del termine: non si tratta di una festa organizzata, con invitati definiti e registrati, ma di una di quelle commemorazioni da niente, da vita di tutti i giorni e proprio per questo affascinante.  

I ricordi di una generazione senza passato

Un altro elemento interessante dell’album coincide con un secondo frutto di questa consapevolezza, ovvero l’appeal generazionale di determinati concetti. Ad esempio ne I cantieri del Giappone, Olly rappresenta una generazione che ha la necessità di sentirsi dire che in realtà, contro ogni aspettativa, è libera di abbandonarsi ai propri pensieri e desideri, anche quando questi sono totalmente in contrasto con la “giusta strada da prendere”:

E ora che c’hai una laurea e un lavoro, aspetti ancora di vivere
Sembri già più di là che di qua e non ci sta alla tua età
E a furia di “fai così” e “fai cosà”
Ce l’hanno fatto credere (ci stavo quasi per cascare)
Però ti immagini se (te lo immagini se), oh
Ma te lo immagini se
Se da domani mattina mi prende la briga che penso a me

OLLY, I CANTIERI DEL GIAPPONE

Il brano racchiude la breve storia di una generazione che si sta impegnando a fare delle cose semplicemente perché è stato loro insegnato che era giusto farle, come pacchetti pre-confezionati di scelte di vita: questo, è da dire, capita in realtà a tutte le generazioni, eppure non abbiamo ancora imparato niente. La differenza sostanziale sta nel fatto che in questo caso c’è il senso di disarmante consapevolezza, per cui si realizza che si è passato il tempo a pensare a cosa fare nella vita senza rendersi conto che la vita stava passando, mentre si aspetta “ancora di vivere”.

Olly

Pertanto, il pensiero va oltre se stessi e inizia ad immaginare di avere la possibilità di sganciarsi dai binari e prendersi “la briga” – perché di una briga si tratta, una fatica emotivamente pesante – di pensare a se stessi per la prima volta.

Olly rappresenta una generazione che è talmente povera di veri modelli, tanto da cercare “le giuste spiegazioni solo dentro alle canzoni” e che, dopotutto, anche dopo che qualche verso qua e là permette di identificarsi, ancora si sente molto sola la sera, quando “la testa pensa e pesa” e quando “l’ironia si nasconde dietro all’ansia e nostalgia”.

Di questa nostalgia ne è pieno l’album, ma non è una nostalgia esclusivamente sentimentale, come nel brano di Sanremo, ma anche esistenziale: in Quei ricordi là, Olly ragiona di nuovo sul fatto che nulla va dimenticato, tutto va trattenuto affinché una vita possa dirsi tale, perché è proprio nel rimuovere la possibilità dei fallimenti e delle delusioni che la generazione precedente si dimostra diversa da quella presente.

La nuova generazione, a differenza dei predecessori, si prende la libertà di guardarsi indietro e di sentire la malinconia, addirittura di immaginarsi nel proprio futuro vinti mentre si riguarda indietro e ci si fa pena.

Il brano racconta un contesto quasi distopico ma ironico al tempo stesso – molto diffuso tra l’altro –, ovvero quello di un giovane non più giovane, anzi ormai nonno, che ha deciso di emigrare ai tropici dove sta “fuori dai radar”, “su un’amaca sotto un baobab” “a ballare merengue con una dominicana con la dentiera che balla, ma con un bel décolleté”, mentre mangia “tapas con il guacamole per colazione” e fa l’amore a tutte le ore, malgrado il “fiatone”.

Della gioventù del protagonista rimangono solo i tatuaggi, ormai “macchie di inchiostro” che comunque un’utilità ce l’hanno, ovvero quella di stare lì, consumati dal tempo, a ricordare che “ne è valsa la pena”.

Altra Gen-Z la si trova anche in Noi che, un titolo molto esplicativo da questo punto di vista, dal tono simile al I Soliti (2012) di Vasco Rossi o al Noi ragazzi di oggi (1985) di Luis Miguel. Viene fatta una descrizione del nuovo giovane che sbaglia per sentirsi più grande, che si crea ricordi solo per il gusto di tatuarseli, che dà la colpa al cielo, che si odia e che si nasconde dietro le tende come un codardo.

Olly applica una differenza fondamentale, di nuovo, con la generazione precedente, ma questa volta esplicitamente: il metro di misura è la felicità e la libertà, come a dire “guardate che siamo proprio come voi in realtà” anche se “un po’ più felici”. Purtroppo però questa felicità è figlia di un percorso per certi versi doloroso, che è quello della consapevolezza, aspetto che invece, altre generazioni hanno preferito ignorare per andare avanti in termini di linearità.  

Noi che sbagliamo tutto solamente per sentirci più grandi
Noi che vogliamo avere dei ricordi solo per tatuarci
Noi che puntiamo il dito verso il cielo e lo incolpiamo di odiarci
Noi che dopo ci nascondiamo dietro perché siamo codardi

Noi che siamo giù di corda
Ma che siamo su di giri
Noi che siamo sempre chiusi
Ma ci apriamo come i libri
Sempre noi

Ma siamo vivi
Come voi, solo un po’ più felici
Perché noi siamo liberi

OLLY, NOI CHE

Le illusioni di una lavatrice che funziona

E si arriva all’amore, ma soprattutto si arriva alla canzone probabilmente migliore di tutto l’album. A noi non serve fare l’amore è uno storytelling immersivo tipicamente cantautoriale. La storia parte da un diario ritrovato, quindi da una fonte di verità personale celata:


E scrivi che non hai bisogno di conferme
Che a te non servono le stelle
Perché nel buio più assoluto
Senza alcun riferimento, ti fideresti ciecamente

Ma te ne vai
Mi dà fastidio perché so che c’hai ragione

OLLY, A NOI NON SERVE FARE L’AMORE

Anche questa volta il testo di Olly trasmette la consapevolezza di una persona che cresce nel tempo e il cui diario registra tutti i cambiamenti e dubbi. Lo storytelling è efficace perché è semplice e cronologico.

Racconta con estrema schiettezza e comprensibilità le due fasi generiche di una relazione: la prima, quando si è pieni di conferme tanto che nemmeno le stelle hanno più una loro utilità per illuminare un cammino che si fa da se, quando non servono più riferimenti perché anche nel buio totale ci si può fidare “ciecamente” dell’altro; la seconda, quando non ci sono più conferme nemmeno dal cielo, nemmeno dalla vita stessa, mancano i riferimenti, manca la possibilità di farsi aiutare o di farsi salvare dall’altro.

A questo punto ci si arma di buoni propositi per un cambiamento radicale: La lavatrice si è rotta rappresenta la sensazione ossessiva che ci sia sempre bisogno di cambiare qualcosa per costruirsi una vita migliore. La nuova generazione è dentro fino al collo nella società della prestazione, dove si deve essere flessibili, camaleontici, pronti a tutto anche a rivoltare le cose al contrario nottetempo e a rivoluzionare la propria vita e le proprie certezze.

Questa grande libertà che celebra lo spirito di iniziativa e di auto-imprenditoria è in realtà un’economia del sé molto discutibile, per cui ogni oggetto della propria quotidianità, anche una lavatrice, diventa fonte di insicurezza:

Dovrei cambiare qualcosa, svegliarmi presto
La lavatrice si è rotta, ora che cazzo mi metto?

Dovrei cambiare qualcosa
Prendere il sole
Ed imparare a memoria
La Costituzione

OLLY, LA LAVATRICE SI è ROTTA

Naturalmente, dalla generazione che si distingue proprio perché ha imparato a guardarsi dentro e a non temere di liberarsi dei propri traumi, non ci si può non aspettare un brano come A squarciagola. Olly in questo testo getta fuori il pensiero più oscuro che attanaglia le giovani anime, ovvero la consapevolezza, ancora una volta, che spesso la sensazione opprimente della vita obbliga le persone a fare a botte con la sincerità più drammatica, quella che di “stare al mondo senza un perché”.

Il brano racconta la necessità, a volte, di fare finta che le cose siano facili semplicemente sulla base di un numero, la propria età, perché chi ha vent’anni è scontato che abbia le forze e gli strumenti per affrontare con energia la realtà.

A me, che cerco un segno dentro al fondo di un caffè
Che perdo tempo a stare al mondo senza un perché

Ma giro attorno a ‘sta rotonda da mezz’ora
E sto in silenzio anche se penso a squarciagola
Ma quelli come me fanno finta
Che non sia dura, non sia in salita, che sia tutta vita

OLLY, A SQUARCIAGOLA

Tutta la vita che abbiamo scoperto nelle tracce precedenti, per un attimo si ferma, va in standby se non addirittura in bug. Questo ci fa pensare che, alla fine, non tutti vincono anche se ci provano e si mettono d’impegno, però Olly stesso, subito dopo, ci dice che comunque sono tutti campioni.

Olly

L’album non poteva concludersi con un brano migliore: Il campione è di nuovo un inno generazionale per tutti quei campioni che non sanno di esserlo, che hanno bisogno che qualcuno glielo dica e glielo ricordi: tutti quelli che hanno preso una laurea e hanno amato incondizionatamente pensando di garantirsi così la felicità futura, tutti quelli che si sono impegnati per una vita intera a fare le cose nel modo giusto ma poi nulla è successo.

Le terre che erano state loro promesse sono sparite, si sono allagate o si sono ritratte nel terreno: rimane però il bisogno di pensare che ne sia valsa la pena, che sia tutta vita appunto, e che in fondo anche quando si perde, si vince comunque.

A te che senti che non hai le forze
E in tasca hai più domande che risposte
Non fermarti mai
Il campione si vede qua
E a te che andresti in quel posto stupendo
Ma devi stare attento allo stipendio
Fa male, ma lo sai
Il campione si vede qua

Ma la gente non si offenda
Se i campioni siamo noi
Noi che, a dirla tutta
Abbiamo già vissuto da morire
E che nessuno si sorprenda
Se i campioni siamo noi
Noi che, quando non ci crede più nessuno
La vinciamo alla fine

OLLY, IL CAMPIONE

Il brano di Olly riprende molto la precedente Noi che, anche a livello retorico, descrivendo una generazione che è cresciuta con “canzoni senza età”, destinata “ad una vita al limite”, a dire “vado sempre al massimo” e che proprio per questo ha tutto un suo “fascino”.

Ce l’hai una sigaretta?

Il campione è quindi il riassunto di TUTTA VITA e Olly ce lo dice apertamente mentre si congeda, “questa era la nostra storia, no?”, come alla fine di uno spettacolo teatrale che però non funziona nella sua capacità di intrattenimento, quanto in se stesso, come frutto di un percorso di mutevoli e molteplici consapevolezze. L’album si conclude con un gentile arrivederci – ma presto – e una sigaretta accesa, come a dire “mi sono sfogato e mi sembra anche di aver detto tutto, di non aver tralasciato niente, ma in caso mi fossi dimenticato qualcosa piuttosto ti faccio uno squillo, o meglio, ti mando un messaggio”.

L’album di Olly è una parabola, un vero e proprio racconto di formazione per insegnare ad imparare ad essere felici, come unico strumento di distinzione rispetto agli altri e alla vita stessa. Lungo tutti i brani Olly è ironico senza pretese di essere iconico, è rappresentativo senza pretese di essere ricordato, è un momento di passaggio il suo e ne è totalmente consapevole: si autocritica, si prende in giro, si commenta da solo con voci fuori campo e si rimette a posto da solo, insomma, fa tutto da sé, mentre l’ascoltatore rimane ad ascoltare uno sfogo che però non ha l’ambizione di risultare drammatico o autocommiserativo.

L’ultima sigaretta e si ricomincia daccapo. L’ultimo sogno e mi alzo dal letto. L’ultimo giro ed esco dal locale. Insomma, l’ultima vita e ne inizia un’altra, forse peggiore, forse più matura, forse migliore, forse più triste, ma comunque nuova.