A partire dagli anni Settanta del Novecento, il movimento femminista ha profondamente influenzato l’arte contemporanea mondiale, agendo da catalizzatore del cambiamento, trasformando l’arte in uno strumento fondamentale per amplificare la voce delle donne, sfidare le norme di genere, sensibilizzare le coscienze, ribaltare gli stereotipi e ampliare i confini culturali della società contemporanea.

Gli obiettivi del movimento femminista in ambito artistico sono stati quelli di utilizzare l’arte come mezzo per veicolare la nuova prospettiva, con lo scopo di ridurre le disuguaglianze di genere e di promuovere le artiste nel mercato dell’arte, nel sistema accademico e in quello istituzionale, denunciando la marcata disparità e la diffusa svalutazione.

Per inserirsi nel mondo dell’arte, il movimento femminista ha privilegiato l’uso della performance, della Body Art e più in generale della videoarte, al fine di comunicare in modo diretto e inequivocabile con lo spettatore, oltre che per attuare una vera e propria rivoluzione mediatica. Spesso, al centro dei questa produzione, si trova il corpo della donna e il concetto di sensualità femminile: l’opera d’arte diventa un soggetto politicamente carico di significato, veicolo di un messaggio culturalmente pregnante, espressione della tensione tra identità intima e posizione pubblica. L’elemento più personale del sé, il corpo, si trasforma in strumento politico, un atto di rivolta, un soggetto attivo all’interno delle strutture patriarcali del biopotere contemporaneo.

Valie Export, Portfolio della Caninità, 1968

La teoria prima della sovversione

A partire dall’interrogativo Why Have There Been No Great Women Artists?, Linda Nochlin pubblica nel 1971 un testo che mettesse in discussione le nozioni di genialità artistica ed evidenziasse le barriere sistemiche che le donne artiste hanno affrontato. Nochlin sottolinea la necessità di rileggere la storia dell’arte in chiave femminista, non solo per riabilitare le artiste donne, ma anche per liberare la disciplina dal male western gaze, uno sguardo unilaterale che per secoli era stato predominante. Inoltre, analizzò come la persistente disparità di genere dipendesse principalmente dall’inadeguatezza delle istituzioni e dell’educazione, nonché dalla nascita del mito costruito attorno all’idea del “grande artista”, del genio e del maestro. Da ciò derivò l’emarginazione sociale e culturale delle donne, per secoli escluse dalle accademie e dalle istituzioni.

Cinque anni più tardi, nel 1976, la curatrice e attivista Lucy Lippard pubblica From the Center: Feminist Essays on Women’s Art, saggio in cui riflette sul ruolo di critica d’arte donna del presente. Lippard vede la necessità di ripensare il ruolo della critica e dell’intero sistema artistico, sovvertendo gerarchie, contesti di produzione e di fruizione dell’opere. Affinché ciò avvenga, è fondamentale completare un processo di trasformazione dalla “coscienza emotiva/esistenziale” alla coscienza culturale, così da permettere alle donne di esistere nello stesso mondo artistico degli uomini, evitando l’autoisolamento.

La Feminist Art americana

Sulla scia delle riflessioni di Nochlin e Lippard, gli anni ’80 nasce la Feminist Art, movimento artistico e politico dove l’arte funge da strumento di lotta sociale, emergendo immediatamente come forza dirompente e ribelle contro la società patriarcale e la tendenza alla subordinazione femminile dal mondo dell’arte.

Con The Dinner Party, nel 1974 Judy Chicago crea la prima opera epica femminista, una celebrazione simbolica delle conquiste femminili nella civiltà occidentale.

Judy Chicago, The Dinner Party, 1979, Brooklyn Museum

Risulta invece emblematica Do Women Have To Be Naked To Get Into the Met. Museum? (1989), opera del collettivo anonimo Guerrilla Girls. Il gruppo utilizzava cartelloni pubblicitari, poster e volantini per divulgare dati e statistiche riguardanti la discriminazione razziale e sessuale. In questo caso, a partire dalle indagini condotte al Metropolitan Museum of Art di New York, il poster recitava: “Less than 5% of the artists in the Modern Art Sections are women, but 85% of the nudes are female”, frase accompagnata da una figura femminile nuda di spalle, con le fattezze della Grande Odalisca (1814) di Ingres, ma con  indosso una maschera da gorilla, simbolo della rivendicazione.

Guerrilla Girls, Do Women Have To Be Naked To Get Into The Met. Museum?, 1989, litografia su carta, 361×791×30 mm, Tate

Dopo il peggioramento del 2012 – meno del 4% di artiste donne e 76% di nudi femminili nelle collezioni –, ad oggi la presenza femminile nei principali musei e istituzioni d’arte contemporanea si attesta intorno al 20%. Decolonizzare il museo dal male gaze è un obiettivo cruciale, ma è anche fondamentale considerare la prospettiva storica per evitare discorsi inconcludenti o derive separatiste di genere, legate a una concezione femminista differenzialista. L’inclusione e la parità di rappresentazione devono essere fondate su una solida base critica, storica ed estetica.

La rivolta femminile italiana

In Italia, nel 1970 nasce Rivolta Femminile, un gruppo radicale fondato dal sodalizio tra la storica dell’arte Carla Lonzi e l’artista Carla Accardi. Il testo Sputiamo su Hegel (1974) divenne il manifesto del movimento, incentrato su separatismo e autocoscienza femminile. L’obiettivo del movimento era mettere in discussione la storiografia tradizionale che per anni aveva trascurato il ruolo delle donne nella storia dell’arte italiana. La risonanza di Rivolta Femminile portò molte artiste a ripensare al proprio ruolo sociale e a rivendicare maggiore spazio nei musei, denunciando scarsa visibilità e discriminazioni di genere.

Da questo momento, la scena artistica italiana vede emergere figure come Bianca Pucciarelli, nota come Tomaso Binga, pseudonimo che rivendica un atto di ribellione rispetto al panorama artistico maschile, sottolineando al contempo la necessità di adeguarsi al canone maschile per inserirsi pienamente. Nelle sue opere emerge la volontà di stravolgere il linguaggio, sia fisico che verbale, dove il corpo acquista valenze simboliche e interagisce con la sfera linguistica, diventando letteralmente parola, come nell’opera Scrittura vivente (1976). L’alfabeto corporeo evidenzia l’ambiguità del processo di costruzione della femminilità, il corpo si adegua alle forme linguistiche del patriarcato che ne plasmano l’identità.

Tomaso Binga, V di Vaso, Alfabeto Pop, 1977, collage su carta, 39,5×26,5 cm

Vicina a Binga, Ketty La Rocca denuncia il nuovo ruolo della donna nella società capitalista attraverso l’ironia e il nonsense di montaggi verbo-visivi, accostando parole e immagini mediatiche ai valori dell’immaginario femminile.

Lea Vergine, con il saggio Il corpo come linguaggio. La “Body art” e storie simili (1974) segna un punto di svolta cruciale per la critica femminista italiana. Successivamente, Vergine curò la mostra “L’altra metà dell’avanguardia” con l’obiettivo di rintracciare e riunire le artiste escluse dalla storiografia artistica ufficiale poiché attive nei gruppi d’avanguardia. Attraverso un’indagine approfondita, Vergine si raggiunge le radici della storia dell’arte, presentando una narrazione non ideologica delle artiste contemporanee, così denunciando la miopia del sistema artistico e la mancanza di interesse da parte del mercato e dei musei nei confronti delle artiste donne per sole questioni di genere.

Avanguardia Femminista

Avanguardia femminista. L’arte degli anni ’70” è sia il titolo di un ciclo internazionale di mostre itineranti, sia di un saggio di Gabriele Schor sulla produzione artistica femminista della seconda metà del Novecento. Il femminismo degli anni Settanta è così finalmente riconosciuto come fonte straordinaria di impulsi e stimoli per tutta l’arte di fine Novecento.

I movimenti femministi sono stati i primi ad offrire riflessioni visive su temi legati alla denuncia della condizione socio-politica, all’autorappresentazione, alla liberazione del corpo dai concetti di idealizzazione estetica e dai canoni culturali, nonché alla decostruzione della separazione tra sfera privata e pubblica. Inoltre, l’utilizzo dei nuovi media, meno influenzati dalla storiografia tradizionale prettamente maschiocentrica, ha rappresentato un progresso nella concezione della nuova arte visuale, permettendo alle artiste di esprimersi liberamente e indipendentemente dalla tradizione artistica secolare, proiettando temi sociali attuali in modo rapido e diretto. Questa forma di espressione ha permesso all’arte di tornare ad essere attuale e incisiva.

Carolee Schneemann, Eye Body: 36 Transformative Actions for Camera, 1963-2005, The Museum of Modern Art New York

La risonanza di alcune importanti mostre internazionali come “WACK! Art and Feminist Revolution” al MOCA di Los Angeles (2007) ha rinvigorito l’azione politica del movimento femminista. La mostra itinerante ha presentato le opere di oltre 120 artiste provenienti da tutto il mondo, offrendo una panoramica completa del movimento.

In Italia si ricordi invece la mostraIl soggetto imprevisto, Arte e femminismo in Italia 1978” al FM Centro per l’Arte Contemporanea di Milano (2019) che ha raccontato un decennio cruciale per l’arte femminista italiana partendo da una data simbolica, il 1978, anno in cui Mirella Bentivoglio presentò oltre ottanta artiste alla mostra “Materializzazione del linguaggio” alla 38° Biennale di Venezia.

La genesi di un’identità trasformista

L’arte femminista ha affrontato per prima i temi dell’erotismo con un approccio libero, distante dai concetti standardizzati di bellezza; per prima ha messo in discussione il tradizionale soggetto occidentale ancorato ad un’identità definita, promulgando l’idea di una soggettività permeabile e mutevole, dove il corpo è un veicolo, non un limite e dove l’identità è evolutiva, non statica.

L’interiorità viene liberata, divenendo un abito da indossare e non da tenere nascosto (Louise Bourgeois). Il corpo diventa un medium, un linguaggio libero dalla fisicità e dalla materialità intrinseca della carne (Carolee Schneemann). I tabù sono abbattuti e sostituiti da relazioni umane sincere e dirette. Le rappresentazioni stereotipate del corpo della donna nei media e nella cultura popolare sono decostruite per fare spazio a rapporti autentici (Valie Export). L’identità è multipla, androgina e trasformista (Katharina Sieverding).

Il movimento femminista ha avuto un impatto duraturo sull’arte contemporanea, poiché sfidando le gerarchie di genere, ha aperto definitivamente nuove strade per l’espressione artistica. Le artiste femministe hanno utilizzato il loro lavoro per promuovere la giustizia sociale, l’uguaglianza e l’autodeterminazione, lasciando un’eredità che continua a ispirare e influenzare l’arte ancora oggi.

Katharina Sieverding, The Great White Way Goes Black, 1977, fotografia a colori su tela, 280 x 462 cm, Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea