In occasione del centenario dalla fondazione del movimento surrealista bretoniano anche Torino prende parte alla celebrazione della ricorrenza, accodandosi dignitosamente alla serie di eventi espositivi che hanno interessato il sistema dell’arte nazionale e non solo. Numerose le opere del movimento Surfanta, di Enrico Allimandi, Clizia, Mario Gramaglia, Giorgio Viotto, Giuseppe Attini, Italo Cremona, Davide De Agostini, Walter Jervolino, Fabrizio Riccardi e molti altri artisti che occupano le due sale espositive del Collegio San Giuseppe. La mostra “Suggestioni Surrealistiche a Torino. Il movimento del Surrealismo (1964-1972) e dintorni”, a cura di Alfredo Centra, Francesco De Caria, Donatella Taverna e Stefano Morabito, è visitabile fino all’8 marzo 2025.

Il Surrealismo piemontese
Durante gli anni Cinquanta del Novecento in tutta Italia si verificò una forte spinta e apertura nei confronti della produzione artistica francese, da un lato per recuperare l’arte di inizio secolo al fine di trarne fondamentali spunti figurativi, dall’altro per presentare i nuovi sviluppi della produzione contemporanea. Partendo dal fondamentale contributo dell’arte francese di primo Novecento, furono organizzate sul territorio nazionale numerose mostre e retrospettive – ad esempio la XXIV Biennale di Venezia del 1948, significativa proprio per la diffusa presenza di artisti francesi e l’attenzione alle nuove sperimentazioni dei neonati movimenti figurativi. Le suggestioni derivate dal movimento surrealista, fondato da André Breton nel 1924, ebbero un’importante risonanza nella formazione della nuova generazione di artisti, soprattutto torinesi, data anche la vicinanza geografica con la Francia e la facilitata trasmissione degli apporti figurativi della produzione d’oltralpe.

A ciò si deve necessariamente aggiungere anche la particolarità specifica rappresentata dal clima culturale della città piemontese. Il Novecento fu per Torino un secolo gravido di stimoli e di tensioni nell’ambito estetico. Nella città si verificò un’originale evoluzione della produzione artistica locale, che ebbe un’importante risonanza a livello nazionale, guadagnandosi un posto di rilievo nella storia dell’arte del XX secolo. Molte “scuole” piemontesi si svilupparono in questo periodo, ognuna ben caratterizzata da definiti e differenti percorsi estetici, una precisa sapienza espressiva e una spiccata originalità artistica. Numerose furono le compagini artistiche che sorsero nel primo dopoguerra, tra le quali comparve anche una frangia surrealista, sviluppatasi proprio grazie all’innesto di un confronto diretto con la produzione francese, mediato dalla figura di Alberto Savinio, fratello minore del fondatore della pittura metafisica Giorgio De Chirico.
All’inizio degli anni Cinquanta del secolo vi fu inoltre una svolta significativa verso la pittura astratta e informale, generata a partire dal perturbante cromatismo espressivo di artisti come Luigi Spazzapan, Olga Carol Rama e il Movimento Arte Concreta.
Torino di inizio Novecento fu dunque un crogiolo di tendenze, gruppi, artisti, movimenti e sperimentazioni artistiche differenti. Una città stimolante e aperta, pronta ad accogliere i nuovi sviluppi artistici e a supportare la diffusione di ricerche estetiche originali e innovative. Un ambiente capace di incoraggiare l’attività creativa di giovani artisti locali che, con il sostegno espositivo di varie istituzioni sorte proprio allo scopo di promuovere e avvalorare tali produzioni, furono in grado di conquistarsi un posto di rilievo all’interno del panorama critico e storico artistico nazionale.
Radici del surrealismo nella metafisica dechirichiana
Concentrandosi per un instante sulla figura di Giorgio De Chirico, emergono interessanti spunti per l’analisi del movimento surrealista italiano e la particolarità del suo innesto nella città di Torino.
Secondo la critica, fu proprio De Chirico a teorizzare, attraverso la sua pittura metafisica, la presenza di una deriva surrealista nel panorama artistico nazionale. “Surrealista” nel senso di trascendente il dato referenziale, ovvero egli riconobbe una ricorrenza nella volontà di molti artisti di andare oltre al realismo per concepire una forma artistica che fosse capace di insinuarsi al di sotto della comune percezione di realtà, per indagare al di là del razionalmente percepibile. In De Chirico la nozione stessa di metafisica è interessante sotto questo aspetto: essa è un’arte di origine simbolista che crea opere ispirate a suggestioni oniriche, ricordi e immagini fantastiche, spesso inquietanti, mediante l’accostamento incongruente di oggetti apparentemente discordanti. Questi, decontestualizzati – dal loro contesto d’origine –, possono configurare e alludere a significati differenti a seconda dei nuovi contesti di collocazione.
È proprio il contesto a contribuire alla creazione di un sistema di relazioni, che si offrono alla contemplazione dell’osservatore, stimolando il processo di decifrazione dell’immagine che è chiamato ad avviare per comprendere il dipinto. In altre parole, l’immagine metafisica racchiude e cela in sé significati non esposti in modo esplicito che lo spettatore deve scorgere e decifrare. I dati della realtà sono sottoposti a un processo di trasformazione allusiva e, in virtù di tale rilettura, sono caricati di un significato altro rispetto a quello comune. L’opera appare di fatto inavvicinabile in ragione di incongruenze e di una apparente sospensione della scena, all’interno della quale si presentano dettagli che non è facile ricondurre a una spiegazione univoca. E De Chirico descrive la stessa Torino come città metafisica per eccellenza.

Partendo dall’etimologia della parola, tralasciando l’accezione storico-artistica, da un lato metafisico si riferisce a tutto ciò che presuppone un alto valore rappresentativo, eterno, assoluto, primo e universale. In questo senso, Torino assume il valore di città emblematica, luogo di incondizionata affezione, punto di partenza e paradigma di infinte ispirazioni artistiche.
Dall’altro, il termine metafisico rimanda a un significato filosofico-trascendentale relativo all’immateriale e al soprasensibile, ciò che sta al di là dei fenomeni esperibili e verificabili. Tale concetto si rispecchia nell’idea della “Torino magica”, la faccia nascosta della città legata a un mondo arcano di vicende esoteriche, di occultismo, punto di incontro tra linee di magia bianca e magia nera, antichissima sede massonica, presunta residenza satanica e demoniaca, congiunzione di misteriose energie. Inoltre, la città fu luogo di nascita e soggiorno di numerosi personaggi presunti sensitivi, quali Gustavo Rol, Paracelso, Cagliostro, Nostradamus, il conte di Saint Germain, e altri prestigiatori e occultisti. Torino è inoltre ritenuta la presunta sede di tre grotte alchemiche di ubicazione ignota, considerate allora delle vere e proprie porte di passaggio per altre dimensioni secondo esoterici, parapsicologi e sostenitori dell’esistenza di un creato parallelo.
A tal proposito, è necessario chiamare nuovamente in causa De Chirico:
“Torino è la città più profonda, la più enigmatica, la più inquietante non solo d’Italia, ma di tutto il mondo. Colui che per primo scoprì l’ermetica bellezza di Torino fu un poeta-filosofo tedesco d’origine polacca: Federico Nietzsche. Fu il primo a sentire l’infinita poesia che si sprigiona da questa città”.
Il capoluogo piemontese affascina e al tempo stesso respinge l’artista per via della sua forza arcana, dell’infinita poesia che sprigiona, della sua bellezza fatalmente avvolta da un alone di mistero. Torino divenne per De Chirico una delle sedi predilette per la concezione e lo sviluppo della sua arte, denominata per l’appunto pittura metafisica.
Ecco quindi le numerose matrici che hanno portato allo sviluppo di una compagine surrealista specificatamente piemontese, antiche le reminiscenze che hanno condotto alla necessaria diffusione di una dimensione subcosciente nel panorama figurativo e artistico della Torino della seconda metà del Novecento.
Surfanta
Buona parte delle pareti della prima delle due sale espositive è dedicata alla presentazione degli artisti che durante gli anni Sessanta presero parte al movimento Surfanta, nome nato dalla crasi delle parole SURrealismo e FANTAsia. Il movimento si presentava come una singolare appendice del surrealismo torinese che però aprì il gruppo alle esperienze surrealiste europee. Esso nacque dai comuni interessi degli artisti coinvolti per le rappresentazioni di visioni fantastiche combinate con il dato reale, attraverso tematiche macabre ed esoteriche in contrasto con la produzione torinese coeva. La rivista omonima – della quale furono pubblicati solo quindici numeri, dal gennaio 1964 al luglio 1972 – oltre a presentare il manifesto teorico del gruppo, divenne un mezzo per riprodurre e diffondere le opere degli artisti coinvolti: Lorenzo Alessandri, Abacuc (nome d’arte di Silvani Gilardi), Lamberto Camerini, Enrico Colombotto Rosso, Giovanni Macciotta, Mario Molinari e Raffaele Pontecorvo.
Tuttavia, lo scopo di Surfanta, nonostante l’innegabile vicinanza alla tendenza fantastico-irrazionale della pittura francese, permise al gruppo di discostarsi totalmente dal surrealismo bretoniano, così come dalla produzione di artisti quali Dalì e Magritte, spesso termini di paragone. In Surfanta non risiede alcuna predisposizione alla destabilizzazione, alcun intento programmatico ferreo o dogmaticamente teorico, ma il solo bisogno di fare della buona pittura e di rivalutare l’artista contro la tendenza alla desacralizzazione contemporanea. Contrariamente ai surrealisti, nelle opere di Surfanta accade spesso che ogni elemento della composizione sia dotato di un preciso intento comunicativo, che collabora al generale funzionamento del significato dell’immagine. Gli oggetti della rappresentazione sono frutto di uno studio attento e di una deliberata preselezione da parte dell’artista, dove nulla è lasciato al caso o generato da un pensiero inconsapevole. In altre parole, per quanto ci sia un’innegabile derivazione surrealista nella dicotomia tra realismo e immaginazione, l’approccio è radicalmente diverso, pertanto la matrice dell’automatismo psichico viene sostituita con una rigorosa e ragionata pratica di rappresentazione.
In Raffaele Pontecorvo l’uomo è spesso raffigurato come un fantoccio, un manichino fragile e disarticolato, un involucro snaturato e prosciugato.
Nelle opere di Abacuc invece le figure si impongono per struttura e concretezza, insinuando molte volte un denso universo di riferimenti mitologici e citazioni letterarie.

Camerini propone visioni di un aberrante mondo fiabesco, dove pupazzi e marionette alludono alla mostruosità celata del reale, che se guardato attraverso il filtro dell’inconscio si presenta per la sua profonda natura disumana.
Lorenzo Alessandri è presentato al pubblico attraverso una bambola diabolica e quattro scheletrici suonatori: feticci in cui l’espressione è veicolata da un cromatismo vibrante e da modulate linee di contorno che racchiudono figure generate da densi impasti materici. Si tratta di dell’immagine di esseri deformi e disarticolati che esprimono la fragilità e l’incompiutezza disperata degli uomini, la paura dell’abbandono e la consapevolezza del fallimento.

Enrico Colombotto Rosso, raffigura macabre visioni addolcite da una strutturata deriva decorativa neosecessionista, dove tuttavia l’ossessione per la malattia e il decadimento consumano le figure: l’integrità corporea è minacciata dal tarlo della malattia, sia fisica sia mentale, che distrugge e corrompe il corpo, separa le membra, evidenzia quanto l’essere umano sia un ammasso contorto di paure, tristezza e traumi, imperfezioni e mancanze.

Molinari dimostra un’ampia sapienza tecnica, prediligendo materiali non convenzionali per la creazione artistica di opere in cui l’essere umano è ridotto a un rigido burattino, a un meraviglioso giocattolo.
Infine Macciotta accosta per giustapposizione oggetti e personaggi incoerenti tra loro deformandoli, associando quindi dimensioni divergenti in dipinti dove l’assurdo si impone tra elementi riconoscibili di realtà.
Allimandi, Clizia, Gramaglia e altri
Proseguendo il percorso espositivo, si incontrano le macabre figure di Enrico Allimandi, visioni allucinatorie di turbamenti esistenziali che si innestano sui volti di rigide figure femminili.
Mario Giani, in arte Clizia, propone invece una serie di sculture che richiamano chiaramente il mito greco, sia per iconografia sia per titolazione delle opere: la cultura classica, il mito della tragedia e il riferimento a una dimensione ancestrale trovano un proprio spazio nell’ambito psicoanalitico e le maschere diventano un veicolo per l’analisi introspettiva.
Similmente in Gramaglia si allude alla dimensione mitica e onirica, in universi d’invenzione dove l’essere umano compare spesso come parte integrante del paesaggio, elemento costitutivo di un reale immaginario dove l’oggettivo e il visionario affievoliscono i loro invalicabili confini di senso, per amalgamarsi in tenui atmosfere possibili.
Altre suggestioni surrealiste si amalgamano e filtrano nelle opere del macabro Vito Oliva, in Franco Pieri, Giorgio Viotto, Michele Tomalino Serra, Mario Gomboli, Sergio Albano, Elio De Paoli, nell’informale di Mario Lattes, in Leo Bottalico, Franco Assetto, del baroccheggiante Giuseppe Attini, in Italo Cremona, nel perturbante Davide De Agostini, nel visionario Rocco Forgione, in Jervolino e Minero, Proverbio, Fabrizio Riccardi, in Bruno Schwab e Adriano Zamuner.


La mostra
“Suggestioni Surrealistiche a Torino. Il movimento del Surrealismo (1964-1972) e dintorni” si concentra sul dialogo, più o meno consapevole, tra le diverse espressioni del surrealismo torinese. Le trentuno opere esposte al Collegio San Giuseppe mostrano come i vari surrealismi si incontrino e si scontrino, creando dissonanti contrasti o generando sorprendenti affinità. Pur nella loro diversità, i singoli artisti eleggono il linguaggio pittorico, fatto di simboli e visioni, per raccontare l’inquietudine e il senso di smarrimento della condizione umana postmoderna.

La mostra sita al Collegio San Giuseppe di Torino, in Via S. Francesco da Paola 23, è visitabile dal lunedì al venerdì con orario 10.30-12.00/15.30-18.00, mentre il sabato l’esposizione è visitabile dalle 10.30 alle 12.00. Ingresso libero.
Tel.: 011 8123250
Email: info@collegiosangiuseppe.it
Riferimenti
Berruti, P; Bocca, C.; Bodini, E.; Cardino, L.; Casali, S.; Centini, M.; Fusaro, N.; Minola, M.; Moncassoli Tibone, M. L.; Toninelli, G. I segreti di Torino sotterranea. 1996. Editrice Il Punto,Torino.
De Chirico, G. presentazione del catalogo della mostra Paola Levi Montalcini. 1939. Torino.
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